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Dal Mese di Settembre 1943 a Dicembre 1943
GUERRA CIVILE NEL MODENESE
GIOVEDI
9 SETTEMBRE 1943
Il messaggio del Maresciallo Badoglio, radiotrasmesso in tutto il Paese,
è appena stato diramato e subito i tedeschi, a dimostrazione di quanto fossero
all'erta, si muovono con tempestività incredibile.
E’ immediatamente occupata l'Accademia Militare di Modena(1) assieme a
tutte le altre caserme della città; il palazzo delle poste e dei telegrafi sono
presidiati dalle forze germaniche assieme ad altri punti nevralgici; il
Prefetto, Luciano Li Castri incaricato di reggere la Provincia di Modena dal 21
Agosto, scompare dalla circolazione.(2)
In mezzo al fuggi fuggi generale, qualcuno accenna ad una timida difesa;
un ufficiale del 6°
Reggimento d’Artiglieria, avrebbe schierato sulla Via Formigina, una batteria
di pezzi da 149/13, ma la sua resa sembra sia stata altrettanto immediata.(3)
A Sassuolo vi fu l'unico scontro a fuoco, brevissimo, tra un presidio di
soldati italiani al comando del Generale Ferrero(4), ed un reparto tedesco che
stava per occupare il Palazzo Ducale ; vi furono parecchi feriti ed un morto tra
i militari italiani(5), ma non risulta vi siano state vittime tra le truppe
tedesche.
A Monchio, proveniente dalle Piane di Mocogno, si sfascia come abbiamo
visto nella parte storica, il raggruppamento degli Allievi dell'Accademia
Militare di Modena formato da oltre 1200 uomini, ben armati e con tutto
l’approvvigionamento.
A Modena è fatto ciclostilare, su ordine di un Maresciallo della
Wermacht, un avviso d’avvertimento alla cittadinanza modenese, nel quale si
diceva, che ogni atto di sabotaggio alle attrezzature germaniche sarebbe stato
punito, per la legge di guerra, con la fucilazione di cinque cittadini italiani,
anche se non implicati negli atti d’ostilità; l'avviso fu firmato dal
Commissario Prefettizio in carica, Giuseppe Giannuzzi.
A Carpi si ebbero parecchi incidenti, tre persone furono uccise dai
carabinieri, i quali cercavano di sedare i tumulti che si erano verificati
davanti alle abitazioni di alcuni fascisti.(6) Anche a Maranello fu uccisa una
nota figura d’antifascista.(7)
A Spilamberto, tutti i militari di stanza nella zona e in modo
particolare quelli addetti agli stabilimenti della SIPE ( società italiana
prodotti esplosivi) furono abbandonati alla mercé dei tedeschi, così si dice
nella storiografia comunista, a dimostrazione che nessuna forma, nemmeno
embrionale, di resistenza esisteva nelle nostre zone e tantomeno partecipazione
popolare, difatti:
VENERDI 10 SETTEMBRE 1943
In Provincia vi furono saccheggi ad una fabbrica di salumi di Castelnuovo
Rangone, a Ravarino fu dato l'assalto al Consorzio Agrario, a Casinalbo fu
svuotato lo stabilimento della ditta Maletti.
Intanto, la capitale d'Italia cade alle ore 16 di questo giorno,
completamente nelle mani dei tedeschi che la conquistano senza colpo ferire,
senza che da parte dei Comandi Italiani fosse organizzata la benché minima
difesa; i vari generali che comandavano le Divisioni acquartierate attorno alla
città, si daranno battaglia, al termine della guerra a suon di memoriali di
accuse e contraccuse, sulla "mancata difesa di Roma".(9)
Entro la giornata, tutta la Provincia modenese risulterà occupata dalle
truppe germaniche; fu fatto affiggere un manifesto, a firma del loro Comandante,
tale Michael, dove si dettavano norme alla popolazione; tra le quali
l'istituzione del coprifuoco e del divieto di assembramento di più di cinque
persone.
A Vignola il Podestà, Secondo Favali, riassume in un manifesto le
disposizioni tedesche sull'ordine pubblico.(10)
Anche a Soliera vi fu un assalto ai magazzini del grano e furono
asportati oltre 2500 quintali di farina e frumento.(11)
Riapre in questo giorno la Federazione fascista modenese. Caratteristica
del nuovo fascismo locale fu quella di essere costituito, sin dall'inizio e in
modo prevalente, da giovani. Molti vecchi fascisti rimasero nell'ombra, anzi vi
fu chi, passando in seguito sull'altra sponda cercò di rifarsi una nuova
maschera.
1) chiunque asporti o danneggi oggetti di qualsiasi specie delle Forze
Armate germaniche o italiane, specialmente armi, sarà fucilato secondo le leggi
marziali;
2) chiunque tenga nascoste armi e non ne effettui la consegna presso un
Comando militare germanico entro 24 ore dalla pubblicazione di questo proclama
sarà fucilato secondo la legge marziale;
3) oggetti delle forze armate italiane, come automobili, cavalli, muli,
veicoli, carburante, lubrificanti, attrezzi di qualsiasi genere ecc. sono da
consegnare immediatamente presso il più vicino comando militare germanico;
4) nei luoghi ove non esistono comandi militari germanici, le armi, gli
oggetti di qualsiasi specie delle Forze Armate
dovranno essere consegnati al Podestà, il quale dovrà curarne il
versamento sollecito al più vicino comando militare germanico;
5) i militari italiani di qualsiasi grado, anche quelli appartenenti ai
reparti scioltisi, dovranno presentarsi in uniforme presso il più vicino
Comando militare germanico. I militari che non si presenteranno saranno deferiti
al Tribunale Militare di guerra;
6) il luogo di rifugio di prigionieri angloamericani evasi dovrà essere
indicato all'autorità militare germanica; gli inadempienti saranno severamente
puniti;
7) chiunque, trascorse 24 ore dalla diffusione del presente proclama a
mezzo radio, volantini e manifesti murali, darà alloggio o vitto o fornirà
vestiti borghesi a prigionieri anglo-americani sarà deferito al Tribunale di
guerra per l'applicazione di pene severissime;
8) i Questori e i Podestà provvederanno alla emanazione di norme
corrispondenti per i territori di loro competenza e saranno responsabili
dell'esecuzione di quanto sopra.
-
Il
Comando Militare Germanico."(19)
Proclama
per i soldati delle disciolte forze armate.
Il
Comandante delle forze armate germaniche dell'Italia Settentrionale ha ordinato
che tutti i soldati facenti parte delle disciolte forze armate italiane devono
presentarsi presso il Comando di luogo germanico più vicino. Io ordino che
tutti gli ex soldati italiani, ufficiali, sottufficiali e soldati, che
prestavano servizio in questa guerra nelle forze armate italiane devono
presentarsi al Municipio dal quale dipendono, entro il giorno 15 Ottobre 1943
per venir registrati. Le liste compilate devono venir presentate il giorno 18
Ottobre 1943, per mezzo dei Podestà al Prefetto di Modena, che a sua volta le
presenterà entro quella data alla Platzkommandantur di Modena. Le liste devono
venir compilate in duplice copia, secondo il modulo seguente: numero progressivo
- nome e cognome - data e luogo di nascita - grado di servizio e arma alla quale
apparteneva - professione civile - domicilio attuale con la via e il numero. E'
cosa urgente! Chi agisce contro questi ordini verrà deferito al Tribunale
Militare germanico e punito severamente.
Modena
6 Ottobre 1943
Von
Bohlen - Comandante della Piazza di Modena
Questa
azione, che i comunisti tentarono di accreditare, per un lunghissimo periodo,
agli stessi fascisti, tesi sostenuta, ad esempio, anche nel film "La lunga
notte del "43"(12); ma già in un giornale clandestino dell'epoca, era
stato rivendicato dai gap comunisti.(13)
La
reazione fascista a questo spietato assassinio fu indubbiamente eccessiva e
costituì la prima vittoria comunista nell'attuazione della strategia della
guerra civile. I comunisti, con questa proditoria uccisione del federale di una
delle città italiane che aveva dato una massiccia adesione al nuovo fascismo
repubblicano, riuscirono a mettere in crisi la nuova classe politica che
cominciava, a distanza di solo due mesi dalla tragedia dell' 8 Settembre, a
darsi una fisionomia ben definita. La maggioranza del popolo italiano, e in
particolar modo quello della città di Ferrara, seguiva con interesse e
partecipazione la nuova formula del fascismo mussoliniano con la speranza di
vedere, almeno in buona parte, rintuzzata la prepotenza e la rabbia tedesca che
era stata duramente colpita dal tradimento della cricca del maresciallo
Badoglio.
Bisognava
pertanto togliere credibilità a questi uomini, facendo scattare la molla
dell'irrazionalità della vendetta e della ritorsione spietata. A Ferrara, i
fascisti caddero in questo tranello; vi fu una reazione eccessiva che gettò nel
lutto la città estense e tutta la valle padana e si ritorse, in certo qual
modo, contro gli stessi fascisti; undici cittadini ferraresi, forse
antifascisti, ma in ogni caso estranei alla morte del Ghisellini, caddero
fucilati nel centro della città ai piedi del castello degli Estensi.
A
quei tempi però, il clima politico era già diventato particolarmente
arroventato a causa della strategia della violenza e delle uccisioni attuata dal
PCI, e la tensione, da parte dei fascisti aveva raggiunto notevoli punte di
esasperazione e di rabbia repressa. Sotto la spinta del Partito Comunista e con
la compiacenza dei comandi anglo-americani, in molte zone del Nord Italia si
erano verificati gravissimi fatti di sangue ai danni delle forze del nuovo
esercito repubblicano: molti fascisti erano stati vilmente assassinati in
agguati ed imboscate. Solamente negli ultimi giorni erano stati uccisi, il 6
Novembre, quattro fascisti a Medicina (Bologna), altri quattro erano stati
uccisi dai gappisti toscani a San Godenzo (Firenze) il giorno 7 Novembre, mentre
il giorno 9 due fascisti erano stati vilmente assassinati a Sesto Fiorentino.(14)
In
questo giorno a Verona si stavano svolgendo i lavori del Primo Congresso
Nazionale del P.F.R. da dove ne doveva uscire il nuovo programma della RSI,
condensato nello storico documento dei "18 punti di Verona".(15)
Nel
primo pomeriggio arrivò da Ferrara una delegazione di fascisti che portò la
notizia ai congressisti, del tragico attentato al federale della città che si
era dimostrata, sino a quel momento, una tra le più vicine al nuovo fascismo
repubblicano, dove si era superato il traguardo dei quindicimila iscritti e dove
diecimila giovani volontari avevano aderito entusiasticamente alle forze armate
della RSI.
E'
ormai arcinoto cosa accadde quando i fascisti radunati a Castelvecchio seppero
dell'assassinio. Vi fu, innanzitutto, una commozione generale ed un desiderio
immediato di vendetta. Alessandro Pavolini riuscì a placare gli animi
informando l'Assemblea che sarebbero partite per Ferrara le squadre di Verona e
di Padova; tra i comandanti, partirono per la città estense anche i due
modenesi, Prof. Franz Pagliani e il console Enrico Vezzalini, considerato uno
degli uomini più responsabili ed equilibrati e nello stesso tempo più decisi
del nuovo fascismo repubblicano.
Le squadre arrivarono nella città estense nel tardo pomeriggio dove già regnava una tensione incredibile e dove moltissimi antifascisti erano stati arrestati; si temeva un vero e proprio massacro. Un primo tribunale speciale si era arrogato il diritto di giustiziare trentasette antifascisti ferraresi. Pagliani e Vezzalini, che verrà fucilato al termine della guerra ed al quale era stata attribuita, ingiustamente, l'intera responsabilità della rappresaglia, intimarono alle squadre che avevano emesso tali condanne, di non commettere tragici errori.
Questa
rappresaglia, che Mussolini stesso giudicò un "atto stupido e
brutale", suscitò una vasta eco nelle popolazioni di tutta l'Emilia e
Romagna, portando notevoli possibilità di sfruttamento alla propaganda
comunista, creando, anche nella componente fascista, contraria ad ogni forma di
ritorsione violenta, perplessità e dubbi angosciosi.
LUNEDI
15 NOVEMBRE 1943
Il
patto di non arrivare allo scontro tra CLN e fascisti, stipulato tra il
Ghisellini e molti di quegli antifascisti che verranno poi fucilati in quella
tragica notte del "43, non era gradito ai comunisti che organizzarono
l'attentato con diabolica strategia e con altrettanto diabolica strategia
riuscirono a portare avanti per oltre quaranta anni la falsa versione.
Ma
in questi ultimi tempi si è squarciato il velo di omertà che teneva nascosta
la verità su questo episodio e finalmente gli autori di quell'attentato
criminale hanno rivelato, in parte, i nominativi e le modalità di come si
svolsero i fatti; il tutto ad attestare che ciò che era stato dichiarato dalla
parte fascista era la pura verità. L'operazione dunque, venne voluta dalla
componente comunista del CLN ferrarese, la quale, contrariamente agli esponenti
degli altri partiti che si erano dichiarati disposti ad accettare il "patto
di non aggressione", si era collocata nella più intransigente clandestinità
e nella conduzione di una lotta spietata contro i fascisti. Così, come in tante
altre parti d'Italia, era opportuno creare un incidente che avrebbe determinato
la reazione fascista. Miglior bersaglio e anche facile, non poteva essere che il
maggior esponente del fascismo repubblicano della città di Ferrara.
L'operazione
Ghisellini, venne studiata ed eseguita in perfetto accordo tra la segreteria del
PCI di Ferrara e i dirigenti regionali di Bologna:
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SABATO
27 NOVEMBRE 1943
MINELLI
VINCENZO,(30),
E'
questo uno dei primissimi fatti di sangue, se non il primo di una certa
rilevanza, avvenuto in tutta la Provincia di Modena, dalla costituzione della
RSI. In una villa di proprietà dell'Ing. Zozimo Marinelli(31), noto
antifascista che faceva propaganda tra i giovani affinché non si arruolassero
nell'esercito repubblicano e che aveva contatti con i partigiani(32), si
radunavano persone armate, in possesso di fucili, bombe a mano e di una
mitragliatrice. Il segretario del fascio repubblicano di Zocca, Vincenzo Minelli
venutone a conoscenza, si recò a Monteombraro accompagnato da tre militi per
perquisire la villa. Ma le cose non andarono lisce, le persone armate si
ribellarono, catturarono il Minelli e fuggirono portandoselo appresso per
ucciderlo da lì a poco. Successivamente vennero anche arrestati i familiari del
Marinelli, che a distanza di circa un mese si costituì. Rinchiuso nelle carceri
di Bologna venne fucilato il 26 Gennaio 1944, assieme ad altri sette partigiani
ed antifascisti bolognesi, in una rappresaglia seguita all'uccisione del
Federale fascista di quella città, Eugenio Facchini(33). Nella storiografia
partigiana abbiamo trovato due versioni diverse sul come andarono le cose alla
villa Marinelli; nella prima si parla di uno scontro a fuoco:
PIFFERI
LINO.(13)
Un
reparto della GNR, comandato dal Cap. Mori, effettua immediatamente un
rastrellamento nella zona e parecchi giovani vennero catturati tra i quali Carlo
Tincani che verrà poi fucilato, assieme a Ultimo Martelli, al poligono di tiro
della Sacca a Modena, il 1° Gennaio 1944.
PARI
LAZZARO;(17)
Mentre
rimaneva seriamente ferito il carabiniere, Enrico Ursic.
VENERDI
7 GENNAIO 1944
LAMI
GUSTAVO.(4)
E'
questo uno degli episodi più significativi del primo periodo della guerra
civile nelle nostre zone. Sull'episodio di Pavullo la storia della resistenza si
è sbizzarrita in interpretazioni, le più svariate possibili. Cercheremo di
farne un analisi attraverso le valutazioni desunte dalla ricostruzione del
fatto, effettuata da molti storiografi antifascisti.
Un
gruppo di partigiani, attraverso un operazione di "infiltrazione",
compie un audace colpo di mano a Pavullo, prima nei confronti del Presidio
Fascista del paese, dove appunto si erano inserite arruolandosi nelle file della
RSI, poi con un "prelievo" alla banca del centro frignanese di 270.000
lire, per concludere l'operazione con un ulteriore "prelievo" di una
corriera della Ditta Macchia e con l'uccisione del fascista Lami Gustavo. Una
prima interpretazione di questo fatto è la seguente:
"Il
sergente della GNR Gustavo Lami s'imbattè a passare da quelle parti (dove era
stata commessa la rapina n.d.r.), s'accorse di quel trafficare si fermò a
curiosare; venne catturato e fatto salire su di un autocarro della ditta
"Macchia "prelevata" dai partigiani. Vi fù uno scontro con i
tedeschi.... il sergente Lami ne approffittò per tentare la fuga ma fù
raggiunto da un colpo di moschetto che lo uccise. Tutto finì lì."(5)
Di
questa faida interna alla banda partigiana che commise anche il fatto di
Pavullo, se ne ha conferma anche in un altra pubblicazione resistenziale firmata
da un altro importante personaggio della lotta partigiana(7), il quale, parlando
del Fini come di "un brigante di vaglia, di coraggio e di decisione",
viene a sottolineare in modo abbastanza singolare, di quanta correttezza e come
fossero spinti da "alti ideali" molti degli uomini delle prime
formazioni partigiane.
In
un’ulteriore versione(8), l'episodio dell'uccisione di quel partigiano viene
invece interpretato come un "fatto di donne".
Molto
elaborata è invece la trattazione dell'argomento del fatto di Pavullo, in uno
degli ultimi testi pubblicati a Modena e dedicati alla storia della
resistenza(9), che così riporta la storia degli "infiltrati" della
banda Rossi raccontando anche dell’eliminazione" del fascista Lami:
"Quando
il gruppo di Giovanni Rossi era salito in montagna, alcuni giovani organizzati
erano stati consigliati da Ottavio Tassi di arruolarsi nella GNR, probabilmente
allo scopo di farli fuggire alla prima occasione propizia con tutte le armi.
Nello Morandi, Danilo Barbieri, Giuseppe Bolzoni, Giovanni Morandi, Donato Monti
e Antonio Bondavalli erano quindi diventati militi; anzi erano stati tutti
"talmente bravi e volenterosi" che il Bondavalli era stato addirittura
promosso caposquadra e tutti assieme erano stati mandati a rinforzare il
Presidio dei Carabinieri di Pavullo, nel cuore della montagna "infestata
dai ribelli"."(10)
Questi
partigiani presero pertanto contatto con le squadre di Rossi e Barbolini per
mettere in atto il "favoloso attacco" o colpo di mano, tanto
sbandierato dalla storiografia resistenziale. I "militi partigiani"
quali "cavalli di Troia" fecero entrare nella caserma altri ribelli
riuscendo così a catturare il gruppetto di veri militi della GNR oltre a
cinque, sei tedeschi sopraggiunti; si portarono poi, nella sede della banca
locale a "prelevare" i fondi del fascio pavullese, continuando la
razzia in questo modo:
Ovviamente,
se da parte della RSI si parlava di banditi, le ragioni erano abbastanza
evidenti e, scorrendo le cronache dei giornali coevi, ci si può rendere conto
che attraverso una serie innumerevole di atti di violenza, di ruberie che
venivano commessi quotidianamente, questi "banditi" o
"partigiani", portavano costantemente il terrore tra le popolazioni
della montagna.
Ma,
sempre a questo proposito, è interessante sottolineare quanto uno degli storici
locali, combattente partigiano non di parte comunista, scrive su queste
formazioni:
Obbiettivamente,
se questa analisi del movimento partigiano la si può anche considerare giusta e
veritiera anche perché denunciata da chi ha fatto la lotta partigiana, è
altrettanto vero che, tale proporzione di persone oneste e disoneste potesse
trovarsi anche nella componente fascista, come in realtà è stato; ma dal
termine della guerra civile sino ad oggi si è semplicisticamente criminalizzata
una sola parte ed eroicizzata quella vincente.
Per
collocarsi in modo corretto in quel tormentato periodo bisogna altresì
distinguere la posizione del combattente repubblicano rispetto al partigiano; il
primo, sempre ben riconoscibile poiché indossava una divisa, affrontava con
maggiori probabilità di pericolo il rischio dell'agguato e dell'imboscata
rispetto al combattente partigiano che, pur dovendo affrontare anch'esso
difficoltà e pericoli con i rastrellamenti e la ricerca da parte della polizia,
aveva maggiori probabilità di scampo attraverso la fuga e l'occultamento tra la
popolazione civile che, indifesa, aveva ben poche possibilità di sfuggire alle
violenze, alle grassazioni ed ai ricatti, trovandosi poi nell'impossibilità a
distinguere le "azioni" dei partigiani "puliti" da quelle
fatte dai delinquenti comuni che si mascheravano da partigiani. Le popolazioni
delle nostre montagne ricordano ancora oggi, con terrore, le irruzioni notturne,
i prelevamenti di persone, l'arroganza degli uni nel volere e nell'ottenere
uomini e cose e la disperata arroganza di quelli in divisa che ricercavano, in
una vana, e disperata difesa della tutela dell'ordine pubblico, di porre un
freno alle scorrerie ed alle ruberie dei "ribelli", patrioti o meno
che essi fossero
In
questa grigia giornata invernale, un partigiano in bicicletta, approfittando
della fitta nebbia, riuscì a lanciare, mentre transitava per Via Saragozza, una
bomba a mano nell'ingresso della Caserma "Galluppi". Vi fù molto
panico e confusione in tutto il quartiere, ma non si ebbero a lamentare nè
vittime nè feriti.
Costituita
in piccoli gruppi di 4 o 5 elementi, ciascuna cellula era autonoma e non
conosceva la consistenza e le formazioni delle altre. Si trovavano in case
abbandonate o per strada e loro compito era quello di seminare il panico tra le
truppe tedesche e fasciste e compiere atti di sabotaggio contro obbiettivi di
vario genere.
Le
difficoltà iniziali, per trovare gli uomini adatti a tali compiti, furono
parecchie, difatti l'azione diretta contro l'uomo non era accettata da molti dei
primi partigiani e la direzione strategica del partito comunista optò, nella
fase iniziale, per gli attacchi a sorpresa a base di dinamite e di bombe a mano,
che davano la possibilità di meglio facilmente sottrarsi ad eventuali risposte.
Artificiere
di questi primi gruppi fù il modenese Emilio Pò.(2)
Quanto
l'iniziativa comunista sia stata determinante nel condurre la lotta partigiana
nel modo più dirompente possibile, non è ormai il caso di starne a discutere,
malgrado i vari tentativi delle frange democristiane, socialiste, azioniste, di
accreditarsi parte del "merito" della guerra civile, in modo
particolare in questi ultimi anni, dato che così non succedeva negli anni '50
quando questi partiti prendevano le distanze dai partigiani rossi che,
sistematicamente erano processati per delitti commessi particolarmente nel post
"liberazione".
Nella
sola Provincia di Modena oltre 600 persone furono processate per queste azioni,
anche se, nella quasi totalità vennero assolte, favorite dalla legge che
considerava "azioni di guerra" molti degli episodi più tragici e
delle vendette commesse sino a due anni dopo il 25 Aprile.
La
storiografia di parte comunista ha sempre accusato le altri parti politiche del
CLN di attesismo, di paura o addirittura di "connivenza" con il
"nemico", in quanto il loro modo di comportarsi concedeva, secondo le
teorie comuniste, tempo e spazio ai nazifascisti di organizzarsi.
I
comunisti insistevano e forzavano la mano agli altri per intervenire con
immediatezza attraverso l'azione violenta, affinché si potessero creare sempre
di più i presupposti per avvelenare gli animi e portare a tutti i costi il
paese in una situazione di guerra civile congeniale alla visione comunista di
presa del potere. sistema tipico operato in tanti paesi europei dai servi delle
centrali moscovite.
La
socializzazione non era, dunque, solamente un pretesto propagandistico, bensì
una reale volontà del Governo Fascista e andava attuandosi con una certa
rapidità e incontrava grandissimi favori specialmente negli strati popolari e
nella classe operaia; bisognava pertanto distogliere queste forze vitali della
nazione, impegnate in un processo di rinnovamento gigantesco, considerando il
particolare momento nel quale venivano messe in atto; era dunque urgente, per i
comunisti, sviluppare una vera e propria azione militare, appoggiata e
finanziata dal capitalismo americano e messa in atto dalla manovalanza marxista,
attraverso azioni di disturbo, attentati, imboscate ed omicidi dei fascisti più
esposti ed alle truppe tedesche, dato che i comunisti ben sapevano quale sarebbe
stata la reazione di questi ultimi nei confronti della guerriglia.
Fascisti
e tedeschi sono cosi, se si può dire, rimasti intrappolati in questa spirale
perversa, tanto da dover impegnare buona parte delle loro energie a
fronteggiare, a prevenire, ma purtroppo sempre molto più spesso, a reprimere,
le azioni di questi "patrioti" che volevano gettare a tutti costi
l'Italia nel caos: ecco creata la lotta tra fratelli, la guerra civile!
In
una serie di attentati gappisti in Comune di Modena, restano uccisi numerosi
soldati tedeschi e fascisti oltre a dei civili.
Per
un ordigno fatto esplodere nella autorimessa Lancia in Via Emilia Est, rimangono
gravemente feriti tre soldati tedeschi ed un civile italiano che poi morirà in
seguito alle ferite riportate, tale
RENATO
ANCESCHI(28bis).
A
San Donnino della Nizzola veniva ridotto in fin di vita, mentre stava scendendo
dal trenino della Sefta, il Colonnello della GNR, Germano Salvi.
In
città, presso il Caffè del Popolo, in Via Canalino, luogo di raduno di militi
della GNR, viene fatta esplodere una bomba che provoca sette feriti, due dei
quali moriranno in seguito, mentre rimaneva uccisa sul colpo la giovanissima
figlia del proprietario del locale, di sedici anni:
TOSI
VALERIA.(29)
Altri
attentati alle sedi ferroviarie vengono effettuati da gruppuscoli partigiani:
vengono fatte saltare rotaie nei tratti della ferrovia Milano-Bologna, alla
Crocetta e sul tratto Modena-Rubiera, mentre in Provincia un ordigno faceva
saltare il binario della ferrovia Casalecchio-Vignola. Le Ferrovie provinciali
subiranno danni sulla Modena-Mirandola presso Albareto, sulla Modena-Vignola in
contrada San Lorenzo e sulla Modena-Sassuolo in località San Martino.(30)
In
montagna, a Montefiorino, le bande partigiane provvedevano all'autofinanziamento
con varie azioni: facevano irruzione nell'ufficio postale di Farneta derubando
il danaro che si trovava in cassa; prelevavano dal negozio di tale Bertelli
Maria a La Verna, chiodi per calzature, conserve, salumi e altri generi
alimentari; anche nel negozio di tale Salvatori Sisto a Palagano venivano
prelevati generi alimentari, così come al calzolaio Bonacorsi Filippo al quale
venivano "prelevate" notevoli quantità di cuoio.(31)
E mail: civileguerra@virgilio.it
Ultimo aggiornamento: Settembre 2004