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Storia della guerra civile nel modenese 1943-1945 e altre storie

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 Modena   1943-45

 Guerra  Civile

Anno 1945

* Perché Emme Rossa?

 Gli avvenimenti nella città di Modena prima e dopo la seconda guerra mondiale:

dal 1919 al 1945 e dal 1946 ad oggi. 

 

Per non dimenticare!

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I fatti salienti, gli aspetti conosciuti e sconosciuti che sono avvenuti in territorio modenese nei tremendi anni della guerra civile.

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Emme Rossa

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Sommario di  questa pagina

Dal Mese di Settembre 1943 a Dicembre 1943

I primi giorni dopo l’8 Settembre a Modena Prime uccisioni di fascisti nel modenese   Lami a Pavullo
Manifesti tedeschi   Minelli a Zocca Attentati gappisti del Febbraio 1944  
Congresso di Verona –  Uccisione Ghisellini   Due carabinieri a Gusciola Contatore di questo sito

      

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GUERRA CIVILE NEL MODENESE

          

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I primi giorni dopo l’8 Settembre a Modena

L’Ammiraglio Bergamini di San Felice comandante della Corazzata Roma affondata dai tedeschi davanti all’isola Asinara.

GIOVEDI 9 SETTEMBRE 1943

  Il messaggio del Maresciallo Badoglio, radiotrasmesso in tutto il Paese, è appena stato diramato e subito i tedeschi, a dimostrazione di quanto fossero all'erta, si muovono con tempestività incredibile.

  E’ immediatamente occupata l'Accademia Militare di Modena(1) assieme a tutte le altre caserme della città; il palazzo delle poste e dei telegrafi sono presidiati dalle forze germaniche assieme ad altri punti nevralgici; il Prefetto, Luciano Li Castri incaricato di reggere la Provincia di Modena dal 21 Agosto, scompare dalla circolazione.(2)

  In mezzo al fuggi fuggi generale, qualcuno accenna ad una timida difesa; un ufficiale del 6° Reggimento d’Artiglieria, avrebbe schierato sulla Via Formigina, una batteria di pezzi da 149/13, ma la sua resa sembra sia stata altrettanto immediata.(3)

  A Sassuolo vi fu l'unico scontro a fuoco, brevissimo, tra un presidio di soldati italiani al comando del Generale Ferrero(4), ed un reparto tedesco che stava per occupare il Palazzo Ducale ; vi furono parecchi feriti ed un morto tra i militari italiani(5), ma non risulta vi siano state vittime tra le truppe tedesche.

  A Monchio, proveniente dalle Piane di Mocogno, si sfascia come abbiamo visto nella parte storica, il raggruppamento degli Allievi dell'Accademia Militare di Modena formato da oltre 1200 uomini, ben armati e con tutto l’approvvigionamento.

  A Modena è fatto ciclostilare, su ordine di un Maresciallo della Wermacht, un avviso d’avvertimento alla cittadinanza modenese, nel quale si diceva, che ogni atto di sabotaggio alle attrezzature germaniche sarebbe stato punito, per la legge di guerra, con la fucilazione di cinque cittadini italiani, anche se non implicati negli atti d’ostilità; l'avviso fu firmato dal Commissario Prefettizio in carica, Giuseppe Giannuzzi.

  A Carpi si ebbero parecchi incidenti, tre persone furono uccise dai carabinieri, i quali cercavano di sedare i tumulti che si erano verificati davanti alle abitazioni di alcuni fascisti.(6) Anche a Maranello fu uccisa una nota figura d’antifascista.(7)

  A Spilamberto, tutti i militari di stanza nella zona e in modo particolare quelli addetti agli stabilimenti della SIPE ( società italiana prodotti esplosivi) furono abbandonati alla mercé dei tedeschi, così si dice nella storiografia comunista, a dimostrazione che nessuna forma, nemmeno embrionale, di resistenza esisteva nelle nostre zone e tantomeno partecipazione popolare, difatti:

    " lo stesso PCI locale non ricevette e non dette quella sera ai suoi organizzati nessuna precisa disposizione; quindi nella tarda serata, i militanti si ritirarono nelle proprie case, sia pure preoccupati e col presentimento che qualche cosa sarebbe accaduto".(8)  

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    Il primo modenese, di una certa notorietà a cadere eroicamente, in seguito al tradimento badogliano, fu l'Ammiraglio Carlo Bergamini di San Felice. Al comando della Corazzata Roma, il Bergamini affonda con la sua nave, al largo dell’isola Asinara, mentre, con parte della flotta italiana, si dirigeva verso Malta. Colpita da una bomba tedesca, sganciata da un aereo a bassa quota e che provocò lo scoppio della santa barbara, la potente nave italiana, vanto della nostra marina, affondò in brevissimo tempo e dei 2160 uomini che si trovavano a bordo solamente 347 si salvarono, tra loro il modenese Renato Ghelfi che fu per lungo tempo collaboratore dell'Ammiraglio Bergamini.

  VENERDI 10 SETTEMBRE 1943

    In seguito al precipitare degli avvenimenti, la popolazione è disorientata e sbigottita; l'incertezza del domani, la precarietà della situazione, la latitanza di qualsiasi forma di Governo, la velocità con cui le truppe tedesche s’impadronivano dei punti più importanti del paese, scatenarono la folla, che, sia a Modena sia in provincia, diede l'assalto a numerosi consorzi agrari, caseifici, fabbriche e mulini. La preoccupazione per l'immediato futuro era portata al parossismo. Nel capoluogo furono presi d'assalto i mulini Della Rosta sulla Via Giardini, dove tra l'altro rimase uccisa una donna, sembra schiacciata sotto un sacco di farina, il mulino della Scaglia, il mulino della ditta Della Casa ai Mulini Nuovi, l'ammasso del grano di Via F. Costa, quello del riso della Sacca, mentre un uomo perdeva la vita nell'assalto ai magazzini di formaggio sulla Via Formiggina.

  In Provincia vi furono saccheggi ad una fabbrica di salumi di Castelnuovo Rangone, a Ravarino fu dato l'assalto al Consorzio Agrario, a Casinalbo fu svuotato lo stabilimento della ditta Maletti.

  Intanto, la capitale d'Italia cade alle ore 16 di questo giorno, completamente nelle mani dei tedeschi che la conquistano senza colpo ferire, senza che da parte dei Comandi Italiani fosse organizzata la benché minima difesa; i vari generali che comandavano le Divisioni acquartierate attorno alla città, si daranno battaglia, al termine della guerra a suon di memoriali di accuse e contraccuse, sulla "mancata difesa di Roma".(9)

  Entro la giornata, tutta la Provincia modenese risulterà occupata dalle truppe germaniche; fu fatto affiggere un manifesto, a firma del loro Comandante, tale Michael, dove si dettavano norme alla popolazione; tra le quali l'istituzione del coprifuoco e del divieto di assembramento di più di cinque persone.

  A Vignola il Podestà, Secondo Favali, riassume in un manifesto le disposizioni tedesche sull'ordine pubblico.(10)

  Anche a Soliera vi fu un assalto ai magazzini del grano e furono asportati oltre 2500 quintali di farina e frumento.(11)

    SABATO 11 SETTEMBRE 1943

  Riapre in questo giorno la Federazione fascista modenese. Caratteristica del nuovo fascismo locale fu quella di essere costituito, sin dall'inizio e in modo prevalente, da giovani. Molti vecchi fascisti rimasero nell'ombra, anzi vi fu chi, passando in seguito sull'altra sponda cercò di rifarsi una nuova maschera.

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Manifesti del Comando Militare Tedesco fatti affiggere sui muri di Modena dopo l’8 Settermbre

  Il Comando tedesco fa’ affiggere, in tutta la Provincia di Modena, un manifesto contenente l'ordinanza, che qui riportiamo: essa lascia intravedere con quanta durezza sia pronto a tenere in mano la situazione italiana:

    " Il Comando Superiore delle Forze Armate Germaniche in Italia ordina:

  1) chiunque asporti o danneggi oggetti di qualsiasi specie delle Forze Armate germaniche o italiane, specialmente armi, sarà fucilato secondo le leggi marziali;

  2) chiunque tenga nascoste armi e non ne effettui la consegna presso un Comando militare germanico entro 24 ore dalla pubblicazione di questo proclama sarà fucilato secondo la legge marziale;

  3) oggetti delle forze armate italiane, come automobili, cavalli, muli, veicoli, carburante, lubrificanti, attrezzi di qualsiasi genere ecc. sono da consegnare immediatamente presso il più vicino comando militare germanico;

  4) nei luoghi ove non esistono comandi militari germanici, le armi, gli oggetti di qualsiasi specie delle Forze Armate  dovranno essere consegnati al Podestà, il quale dovrà curarne il versamento sollecito al più vicino comando militare germanico;

  5) i militari italiani di qualsiasi grado, anche quelli appartenenti ai reparti scioltisi, dovranno presentarsi in uniforme presso il più vicino Comando militare germanico. I militari che non si presenteranno saranno deferiti al Tribunale Militare di guerra;

  6) il luogo di rifugio di prigionieri angloamericani evasi dovrà essere indicato all'autorità militare germanica; gli inadempienti saranno severamente puniti;

  7) chiunque, trascorse 24 ore dalla diffusione del presente proclama a mezzo radio, volantini e manifesti murali, darà alloggio o vitto o fornirà vestiti borghesi a prigionieri anglo-americani sarà deferito al Tribunale di guerra per l'applicazione di pene severissime;

  8) i Questori e i Podestà provvederanno alla emanazione di norme corrispondenti per i territori di loro competenza e saranno responsabili dell'esecuzione di quanto sopra.

-          Il Comando Militare Germanico."(19)

  Un manifesto del Comando militare tedesco invita i militari del disciolto Esercito Italiano a presentarsi: viene affisso in questo giorno su tutti i muri della Provincia di Modena e pubblicato sul giornale locale, il proclama era così concepito:

  Platzkommandantur 1° - Modena

Proclama per i soldati delle disciolte forze armate.

Il Comandante delle forze armate germaniche dell'Italia Settentrionale ha ordinato che tutti i soldati facenti parte delle disciolte forze armate italiane devono presentarsi presso il Comando di luogo germanico più vicino. Io ordino che tutti gli ex soldati italiani, ufficiali, sottufficiali e soldati, che prestavano servizio in questa guerra nelle forze armate italiane devono presentarsi al Municipio dal quale dipendono, entro il giorno 15 Ottobre 1943 per venir registrati. Le liste compilate devono venir presentate il giorno 18 Ottobre 1943, per mezzo dei Podestà al Prefetto di Modena, che a sua volta le presenterà entro quella data alla Platzkommandantur di Modena. Le liste devono venir compilate in duplice copia, secondo il modulo seguente: numero progressivo - nome e cognome - data e luogo di nascita - grado di servizio e arma alla quale apparteneva - professione civile - domicilio attuale con la via e il numero. E' cosa urgente! Chi agisce contro questi ordini verrà deferito al Tribunale Militare germanico e punito severamente.

Modena 6 Ottobre 1943

Von Bohlen - Comandante della Piazza di Modena

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  Congresso di Verona Omicidio Ghisellini, Federale di Ferrara – Ritorsione fascista

  DOMENICA 14 NOVEMBRE 1943

  Uno degli episodi più rilevanti, della lotta politica nell'Italia del Nord, che portò ad una vera e propria svolta nello scontro tra fascisti e partigiani, fu quello dell'uccisione del Federale di Ferrara, Iginio Ghisellini, messo in atto dai gappisti comunisti di Bologna e dove troviamo coinvolti, nei fatti successivi, noti esponenti del fascismo modenese.

Questa azione, che i comunisti tentarono di accreditare, per un lunghissimo periodo, agli stessi fascisti, tesi sostenuta, ad esempio, anche nel film "La lunga notte del "43"(12); ma già in un giornale clandestino dell'epoca, era stato rivendicato dai gap comunisti.(13)

La reazione fascista a questo spietato assassinio fu indubbiamente eccessiva e costituì la prima vittoria comunista nell'attuazione della strategia della guerra civile. I comunisti, con questa proditoria uccisione del federale di una delle città italiane che aveva dato una massiccia adesione al nuovo fascismo repubblicano, riuscirono a mettere in crisi la nuova classe politica che cominciava, a distanza di solo due mesi dalla tragedia dell' 8 Settembre, a darsi una fisionomia ben definita. La maggioranza del popolo italiano, e in particolar modo quello della città di Ferrara, seguiva con interesse e partecipazione la nuova formula del fascismo mussoliniano con la speranza di vedere, almeno in buona parte, rintuzzata la prepotenza e la rabbia tedesca che era stata duramente colpita dal tradimento della cricca del maresciallo Badoglio.

Bisognava pertanto togliere credibilità a questi uomini, facendo scattare la molla dell'irrazionalità della vendetta e della ritorsione spietata. A Ferrara, i fascisti caddero in questo tranello; vi fu una reazione eccessiva che gettò nel lutto la città estense e tutta la valle padana e si ritorse, in certo qual modo, contro gli stessi fascisti; undici cittadini ferraresi, forse antifascisti, ma in ogni caso estranei alla morte del Ghisellini, caddero fucilati nel centro della città ai piedi del castello degli Estensi.

A quei tempi però, il clima politico era già diventato particolarmente arroventato a causa della strategia della violenza e delle uccisioni attuata dal PCI, e la tensione, da parte dei fascisti aveva raggiunto notevoli punte di esasperazione e di rabbia repressa. Sotto la spinta del Partito Comunista e con la compiacenza dei comandi anglo-americani, in molte zone del Nord Italia si erano verificati gravissimi fatti di sangue ai danni delle forze del nuovo esercito repubblicano: molti fascisti erano stati vilmente assassinati in agguati ed imboscate. Solamente negli ultimi giorni erano stati uccisi, il 6 Novembre, quattro fascisti a Medicina (Bologna), altri quattro erano stati uccisi dai gappisti toscani a San Godenzo (Firenze) il giorno 7 Novembre, mentre il giorno 9 due fascisti erano stati vilmente assassinati a Sesto Fiorentino.(14)

In questo giorno a Verona si stavano svolgendo i lavori del Primo Congresso Nazionale del P.F.R. da dove ne doveva uscire il nuovo programma della RSI, condensato nello storico documento dei "18 punti di Verona".(15)

Nel primo pomeriggio arrivò da Ferrara una delegazione di fascisti che portò la notizia ai congressisti, del tragico attentato al federale della città che si era dimostrata, sino a quel momento, una tra le più vicine al nuovo fascismo repubblicano, dove si era superato il traguardo dei quindicimila iscritti e dove diecimila giovani volontari avevano aderito entusiasticamente alle forze armate della RSI.

E' ormai arcinoto cosa accadde quando i fascisti radunati a Castelvecchio seppero dell'assassinio. Vi fu, innanzitutto, una commozione generale ed un desiderio immediato di vendetta. Alessandro Pavolini riuscì a placare gli animi informando l'Assemblea che sarebbero partite per Ferrara le squadre di Verona e di Padova; tra i comandanti, partirono per la città estense anche i due modenesi, Prof. Franz Pagliani e il console Enrico Vezzalini, considerato uno degli uomini più responsabili ed equilibrati e nello stesso tempo più decisi del nuovo fascismo repubblicano.

Le squadre arrivarono nella città estense nel tardo pomeriggio dove già regnava una tensione incredibile e dove moltissimi antifascisti erano stati arrestati; si temeva un vero e proprio massacro. Un primo tribunale speciale si era arrogato il diritto di giustiziare trentasette antifascisti ferraresi. Pagliani e Vezzalini, che verrà fucilato al termine della guerra ed al quale era stata attribuita, ingiustamente, l'intera responsabilità della rappresaglia, intimarono alle squadre che avevano emesso tali condanne, di non commettere tragici errori.

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Ma gli interventi dei due modenesi non riuscirono a placare gli animi e a nulla valse anche l'intervento dei capi della Federazione ferrarese che non volevano macchiarsi del sangue dei loro concittadini. La rabbia ed il desiderio inconsulto di una rapida vendetta esplose ugualmente con l'uccisione di undici ostaggi, tutti componenti non comunisti del CLN ferrarese che avevano, poco tempo prima, accettato la proposta del federale Ghisellini che voleva evitare, attraverso particolari accordi, alla città di Ferrara gli orrori della guerra civile.

Questa rappresaglia, che Mussolini stesso giudicò un "atto stupido e brutale", suscitò una vasta eco nelle popolazioni di tutta l'Emilia e Romagna, portando notevoli possibilità di sfruttamento alla propaganda comunista, creando, anche nella componente fascista, contraria ad ogni forma di ritorsione violenta, perplessità e dubbi angosciosi.

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LUNEDI 15 NOVEMBRE 1943

  La grancassa resistenziale, comunisti in testa, dal momento dell'uccisione di Ghisellini sino ai giorni nostri, ha costruito e via via gonfiato il grosso falso che ad uccidere il Federale di Ferrara fossero stati gli stessi fascisti, i duri, quelli che non avevano visto di buon occhio l'accordo con il CLN. Questa tesi, assurda, ma molto ben orchestrata era stata praticamente accettata dall'opinione pubblica e le poche voci che cercavano di raccontare la pura verità(16) venivano continuamente tacciate di mendacio e di faziosità

Il patto di non arrivare allo scontro tra CLN e fascisti, stipulato tra il Ghisellini e molti di quegli antifascisti che verranno poi fucilati in quella tragica notte del "43, non era gradito ai comunisti che organizzarono l'attentato con diabolica strategia e con altrettanto diabolica strategia riuscirono a portare avanti per oltre quaranta anni la falsa versione.

Ma in questi ultimi tempi si è squarciato il velo di omertà che teneva nascosta la verità su questo episodio e finalmente gli autori di quell'attentato criminale hanno rivelato, in parte, i nominativi e le modalità di come si svolsero i fatti; il tutto ad attestare che ciò che era stato dichiarato dalla parte fascista era la pura verità. L'operazione dunque, venne voluta dalla componente comunista del CLN ferrarese, la quale, contrariamente agli esponenti degli altri partiti che si erano dichiarati disposti ad accettare il "patto di non aggressione", si era collocata nella più intransigente clandestinità e nella conduzione di una lotta spietata contro i fascisti. Così, come in tante altre parti d'Italia, era opportuno creare un incidente che avrebbe determinato la reazione fascista. Miglior bersaglio e anche facile, non poteva essere che il maggior esponente del fascismo repubblicano della città di Ferrara.

L'operazione Ghisellini, venne studiata ed eseguita in perfetto accordo tra la segreteria del PCI di Ferrara e i dirigenti regionali di Bologna:

  "L'attentato fu deciso a Bologna. Mario Pelosi incaricò dell'azione S. al quale aveva dato appuntamento nei pressi di Porta Scarrozza il giorno 13 Novembre(17)

  Ed ecco come viene rivendicata dai comunisti l'uccisione del Federale di Ferrara:

  "Il gerarca fu infatti giustiziato dai partigiani e non ucciso dagli stessi fascisti in dissenso con lui. L'attentato fu preparato accuratamente da Mario Peloni che potè contare su tre compagni dopo aver discusso a fondo con loro sulla opportunità e sul significato esemplare dell'azione.....Il federale Ghisellini era stato seguito più volte quando di sera ritornava a Casumaro per conoscerne orari, itinerari ed abitudini. Quella notte tre compagni bloccarono l'auto lungo la strada uno solo sparò e uccise il Ghisellini. Poi auto e cadavere furono portati a Castel d'Argile per sviare le indagini. L'attentato avvenne alla periferia della città si può dire a poche centinaia di metri dalla federazione fascista."(18)  

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  Prime uccisioni di fascisti nel modenese

     Uccisione del Segretario del P.F.R. di Zocca Minelli Vincenzo

      SABATO 27 NOVEMBRE 1943

  A Monteombraro di Zocca viene ucciso il Segretario del P.F.R. di quella contrada, di anni trentotto:

MINELLI VINCENZO,(30),

E' questo uno dei primissimi fatti di sangue, se non il primo di una certa rilevanza, avvenuto in tutta la Provincia di Modena, dalla costituzione della RSI. In una villa di proprietà dell'Ing. Zozimo Marinelli(31), noto antifascista che faceva propaganda tra i giovani affinché non si arruolassero nell'esercito repubblicano e che aveva contatti con i partigiani(32), si radunavano persone armate, in possesso di fucili, bombe a mano e di una mitragliatrice. Il segretario del fascio repubblicano di Zocca, Vincenzo Minelli venutone a conoscenza, si recò a Monteombraro accompagnato da tre militi per perquisire la villa. Ma le cose non andarono lisce, le persone armate si ribellarono, catturarono il Minelli e fuggirono portandoselo appresso per ucciderlo da lì a poco. Successivamente vennero anche arrestati i familiari del Marinelli, che a distanza di circa un mese si costituì. Rinchiuso nelle carceri di Bologna venne fucilato il 26 Gennaio 1944, assieme ad altri sette partigiani ed antifascisti bolognesi, in una rappresaglia seguita all'uccisione del Federale fascista di quella città, Eugenio Facchini(33). Nella storiografia partigiana abbiamo trovato due versioni diverse sul come andarono le cose alla villa Marinelli; nella prima si parla di uno scontro a fuoco:

  "essendosi riuniti i partigiani nella casa del Marinelli e accortiisi dell'arrivo dei fascisti, decisero di resistere; si ebbe uno scontro a fuoco al seguito del quale il Minelli restò ucciso"(34)

  Nell'altra versione si parla di una vera e propria esecuzione del Segretario del P.F.R. repubblicano di Zocca:

  "Alla mezzanotte un auto si fermò davanti all'abitazione e ne scesero due fascisti i quali imposero all'antifascista di aprire. I nostri uscirono, circondarono l'auto e tentarono di far prigionieri i due. Uno poté fuggire mentre il capo restò nelle nostre mani. Tuttavia i due fascisti non erano venuti soli, poiché dopo un pò si udì vicino una scarica di fucile mitraglia. Nessuno però ebbe il coraggio di avvicinarsi. Il prigioniero fù interrogato e si appurò che era il reggente del fascio di Zocca, già agente dell’ Ovra e alto impiegato del Ministero. Venne giustiziato."(35) 

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     Uccisione di due carabinieri a Gusciola di Montefiorino e ritorsione fascista

  GIOVEDI 23 DICEMBRE 1943

  Uno scontro armato, tra militi della GNR ed un gruppo di "sbandati", si verifica sul nostro Appennino a Gusciola in località Rio di Porcinago. I militi fascisti si scontrano con uno di questi gruppi ed intimano loro di arrestarsi e di farsi riconoscere, ma questi rispondono con una fittissima sparatoria nella quale resta ucciso il milite della GNR:

PIFFERI LINO.(13)

  VENERDI 24 DICEMBRE 1943

  Così il quotidiano locale pubblicava la notizia del fatto d'armi avvenuto a Gusciola:

  "Ieri mattina, circa alle ore 11 è stato ucciso presso Gusciola di Montefiorino il carabiniere Lino Pifferi. Il carabiniere Pifferi si recava insieme ad un brigadiere a Gusciola per motivi di servizio. I carabinieri sono caduti in una imboscata, accolti da fucilate e lancio di bombe a mano. I carabinieri si sono difesi, ma il Pifferi è rimasto vittima del dovere."(14)

  L'agguato venne teso dalla pattuglia partigiana guidato da Teofilo Fontana che venne poi eletto Sindaco della cosiddetta "Repubblica di Montefiorino", nel Luglio 1944.(15)

Un reparto della GNR, comandato dal Cap. Mori, effettua immediatamente un rastrellamento nella zona e parecchi giovani vennero catturati tra i quali Carlo Tincani che verrà poi fucilato, assieme a Ultimo Martelli, al poligono di tiro della Sacca a Modena, il 1° Gennaio 1944.

  LUNEDI 27 DICEMBRE 1943

  Sempre nella zona di Gusciola, in località Mulino di Porcinago, a poca distanza da dove avvenne l'attentato del giorno 23, la pattuglia partigiana, guidata da Teofilo Fontana, si scontra con quattro carabinieri, in servizio relativo alla ricerca dei giovani renitenti alla leva. Ne scaturisce un conflitto a fuoco nel quale resta ucciso il carabiniere:

PARI LAZZARO;(17)

Mentre rimaneva seriamente ferito il carabiniere, Enrico Ursic.

  MARTEDI 28 DICEMBRE 1943

  Dopo le uccisioni dei due carabinieri della GNR, il clima in quelle contrade si fa’ sempre più teso. Un ulteriore rastrellamento viene effettuato dai reparti fascisti guidati dal sassolese Capitano Arturo Mori; parecchi renitenti alla leva vennero catturati e portati nel carcere della caserma di Montefiorino per essere interrogati. Due di questi vennero portati a Modena per essere processati e poi fucilati. La storiografia resistenziale dà ampio spazio a questa prima rappresaglia avvenuta in territorio modenese.(18)

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     Incursione partigiana a Pavullo e uccisione del fascista Lami

VENERDI 7 GENNAIO 1944

  Colpo di mano di un gruppo di partigiani a Pavullo con relativa fucilazione di un fascista, il Sergente della Guardia Nazionale Repubblicana:

LAMI GUSTAVO.(4)

E' questo uno degli episodi più significativi del primo periodo della guerra civile nelle nostre zone. Sull'episodio di Pavullo la storia della resistenza si è sbizzarrita in interpretazioni, le più svariate possibili. Cercheremo di farne un analisi attraverso le valutazioni desunte dalla ricostruzione del fatto, effettuata da molti storiografi antifascisti.

Un gruppo di partigiani, attraverso un operazione di "infiltrazione", compie un audace colpo di mano a Pavullo, prima nei confronti del Presidio Fascista del paese, dove appunto si erano inserite arruolandosi nelle file della RSI, poi con un "prelievo" alla banca del centro frignanese di 270.000 lire, per concludere l'operazione con un ulteriore "prelievo" di una corriera della Ditta Macchia e con l'uccisione del fascista Lami Gustavo. Una prima interpretazione di questo fatto è la seguente: 

"Il sergente della GNR Gustavo Lami s'imbattè a passare da quelle parti (dove era stata commessa la rapina n.d.r.), s'accorse di quel trafficare si fermò a curiosare; venne catturato e fatto salire su di un autocarro della ditta "Macchia "prelevata" dai partigiani. Vi fù uno scontro con i tedeschi.... il sergente Lami ne approffittò per tentare la fuga ma fù raggiunto da un colpo di moschetto che lo uccise. Tutto finì lì."(5)

  Lo stesso autore, poche righe dopo nella sua trattazione, così sintetizza ed inquadra il gruppo dei partigiani che parteciparono a quella azione:

  ".....attacco ad una corriera di linea dove vennero derubati i passeggeri....la succursale del Banco di San Geminiano di Lama Mocogno fù presa d'assalto e si provvide al "prelevamento" di settantasettemilalire; della formazione faceva parte anche un pregiudicato, certo Alberto Fini. Probabilmente Rossi (il capo partigiano che guidava quella formazione, n.d.r.), decise di eliminarlo e trasmise l'ordine a Stanzioni. Nella sparatoria che seguì sia il Fini che Stanzioni rimasero uccisi. Poi il 28 Febbraio la stessa sorte toccò al Rossi che a Monterotondo, fù ucciso nel sonno. La sua scomparsa restò misteriosa."(6)

Di questa faida interna alla banda partigiana che commise anche il fatto di Pavullo, se ne ha conferma anche in un altra pubblicazione resistenziale firmata da un altro importante personaggio della lotta partigiana(7), il quale, parlando del Fini come di "un brigante di vaglia, di coraggio e di decisione", viene a sottolineare in modo abbastanza singolare, di quanta correttezza e come fossero spinti da "alti ideali" molti degli uomini delle prime formazioni partigiane.

In un’ulteriore versione(8), l'episodio dell'uccisione di quel partigiano viene invece interpretato come un "fatto di donne".

Molto elaborata è invece la trattazione dell'argomento del fatto di Pavullo, in uno degli ultimi testi pubblicati a Modena e dedicati alla storia della resistenza(9), che così riporta la storia degli "infiltrati" della banda Rossi raccontando anche dell’eliminazione" del fascista Lami:  

"Quando il gruppo di Giovanni Rossi era salito in montagna, alcuni giovani organizzati erano stati consigliati da Ottavio Tassi di arruolarsi nella GNR, probabilmente allo scopo di farli fuggire alla prima occasione propizia con tutte le armi. Nello Morandi, Danilo Barbieri, Giuseppe Bolzoni, Giovanni Morandi, Donato Monti e Antonio Bondavalli erano quindi diventati militi; anzi erano stati tutti "talmente bravi e volenterosi" che il Bondavalli era stato addirittura promosso caposquadra e tutti assieme erano stati mandati a rinforzare il Presidio dei Carabinieri di Pavullo, nel cuore della montagna "infestata dai ribelli"."(10)

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Questi partigiani presero pertanto contatto con le squadre di Rossi e Barbolini per mettere in atto il "favoloso attacco" o colpo di mano, tanto sbandierato dalla storiografia resistenziale. I "militi partigiani" quali "cavalli di Troia" fecero entrare nella caserma altri ribelli riuscendo così a catturare il gruppetto di veri militi della GNR oltre a cinque, sei tedeschi sopraggiunti; si portarono poi, nella sede della banca locale a "prelevare" i fondi del fascio pavullese, continuando la razzia in questo modo:

  "Durante le lunghe operazioni di carico (molto era il materiale interessante che sarebbe stato opportuno portare via dalla caserma) il caposquadra Gnr, che era di passaggio, cominciò a chiedere spiegazioni. Bisognava affrettare i tempi. Lami, il tenente, gli ex militi ed il gruppo Rossi salivano sull'autocorriera che li condusse a Selva di Serramazzoni. Qui il carico venne suddiviso tra i tredici partigiani che sparirono in breve tempo. Durante queste operazioni ci si trovò nella necessità di uccidere il Lami.....Anche nella Valle del Panaro, e in modo clamoroso, i ribelli erano entrati in azione."(11)

  Un altro autore di storie della resistenza così parla dei partigiani della formazione Rossi che attuò il colpo di mano di Pavullo, descrivendoli in questo modo:

  "Certamente, ripeto, non mancavano tra coloro che seguivano i partigiani individui che approfittavano della caotica situazione per sfogare i loro istinti peggiori sotto la veste del patriottismo. Nella formazione di Rossi c'era un losco individuo un certo Fini di Montefiorino. Imprigionato più volte, evaso dal carcere, pendevano sul suo capo varie accuse di omicidio".(12)

  Questo "partigiano" commise ancora parecchi delitti, per restare poi ucciso, come abbiamo visto, in una specie di duello rusticano, da un componente della sua stessa "banda".

Ovviamente, se da parte della RSI si parlava di banditi, le ragioni erano abbastanza evidenti e, scorrendo le cronache dei giornali coevi, ci si può rendere conto che attraverso una serie innumerevole di atti di violenza, di ruberie che venivano commessi quotidianamente, questi "banditi" o "partigiani", portavano costantemente il terrore tra le popolazioni della montagna.

Ma, sempre a questo proposito, è interessante sottolineare quanto uno degli storici locali, combattente partigiano non di parte comunista, scrive su queste formazioni:

  "In Gennaio, dopo il colpo di mano di Pavullo, furono svolte soltanto operazioni di approvvigionamento. Non è detto che tali operazioni siano state tutte compiute e ordinate da Rossi. Non và dimenticato che il gruppetto di Fontana e Balin si era ritirato, dopo i fatti di Gusciola a Villanova-Palareto e, poiché viveva alla macchia è presumibile che dovesse affrontare problemi di approvvigionamento. Non è neppure da escludere che elementi marginali, più irrequieti e meno raccomandabili, delle formazioni locali prendessero iniziative in genere, per quanto ciò debba essere stato piuttosto raro, poiché le famiglie "visitate" li avrebbero facilmente riconosciuti. L'ipotesi più probabile è che si trattasse di elementi della formazione Rossi, che non avevano seguito il grosso nel reggiano; oppure in qualche caso, di delinquenti comuni, specialmente quando si presentavano mascherati. A questo punto è necessario ricordare, una volta per tutte, il diffuso fenomeno della delinquenza comune che accompagnò tutto lo svolgimento della lotta di liberazione, sviluppandosi ai margini e all'ombra di esso. in una situazione complessa e intricata come quella di allora, era assai facile per individui che nulla avevano a che fare con la Resistenza qualificarsi come partigiani per compiere rapine e delitti. Quando le estorsioni di denaro, preziosi o biancheria erano effettuate da pochi individui, magari mascherati, che rilasciavano ricevute irregolari o non ne rilasciavano affatto, che minacciavano rappresaglie in caso di denuncia della rapina, si trattava di atti di delinquenza comune, compiuti da pseudo partigiani o in qualche caso, da partigiani disonesti.(13)

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Delinquenza comune o partigiani disonesti?

Obbiettivamente, se questa analisi del movimento partigiano la si può anche considerare giusta e veritiera anche perché denunciata da chi ha fatto la lotta partigiana, è altrettanto vero che, tale proporzione di persone oneste e disoneste potesse trovarsi anche nella componente fascista, come in realtà è stato; ma dal termine della guerra civile sino ad oggi si è semplicisticamente criminalizzata una sola parte ed eroicizzata quella vincente.

Per collocarsi in modo corretto in quel tormentato periodo bisogna altresì distinguere la posizione del combattente repubblicano rispetto al partigiano; il primo, sempre ben riconoscibile poiché indossava una divisa, affrontava con maggiori probabilità di pericolo il rischio dell'agguato e dell'imboscata rispetto al combattente partigiano che, pur dovendo affrontare anch'esso difficoltà e pericoli con i rastrellamenti e la ricerca da parte della polizia, aveva maggiori probabilità di scampo attraverso la fuga e l'occultamento tra la popolazione civile che, indifesa, aveva ben poche possibilità di sfuggire alle violenze, alle grassazioni ed ai ricatti, trovandosi poi nell'impossibilità a distinguere le "azioni" dei partigiani "puliti" da quelle fatte dai delinquenti comuni che si mascheravano da partigiani. Le popolazioni delle nostre montagne ricordano ancora oggi, con terrore, le irruzioni notturne, i prelevamenti di persone, l'arroganza degli uni nel volere e nell'ottenere uomini e cose e la disperata arroganza di quelli in divisa che ricercavano, in una vana, e disperata difesa della tutela dell'ordine pubblico, di porre un freno alle scorrerie ed alle ruberie dei "ribelli", patrioti o meno che essi fossero

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Attentati gappisti del Febbraio 1944

      MARTEDI 1 FEBBRAIO 1944

  I fascisti modenesi non sono preparati alle azioni della guerriglia partigiana, attuano ben poche difese e si troveranno quasi sempre in grosse difficoltà ad arginare lo stillicidio di agguati e di imboscate dei partigiani, i quali potevano godere di un grosso vantaggio, cioè quello di potersi mascherare con molta facilità. I Fascisti, presi in una morsa micidiale, con i tedeschi che dopo il tradimento badogliano erano sempre più diffidenti, con l'assillo degli approvvigionamenti alle popolazioni, con la ricerca della pacificazione nazionale, con le preoccupazioni dell'ordine pubblico e con il desiderio di riportare l'Italia in una posizione di dignità internazionale, malgrado la guerra sul territorio patrio ed i continui e micidiali bombardamenti e mitragliamenti degli aerei anglo-americani, si videro, in più, colpire alle spalle da una parte, anche se ristretta, dei loro fratelli.

In questa grigia giornata invernale, un partigiano in bicicletta, approfittando della fitta nebbia, riuscì a lanciare, mentre transitava per Via Saragozza, una bomba a mano nell'ingresso della Caserma "Galluppi". Vi fù molto panico e confusione in tutto il quartiere, ma non si ebbero a lamentare nè vittime nè feriti.

  A quanto risulta, da gran parte delle pubblicazioni della storiografia resistenziale, la decisione di dare inizio ad una attività di sabotaggio e di attentati, venne presa dal Partito Comunista, alla fine del mese di Gennaio del 1944. Designati a compiere queste azioni terroristiche furono i GAP (Gruppi armati partigiani).

Costituita in piccoli gruppi di 4 o 5 elementi, ciascuna cellula era autonoma e non conosceva la consistenza e le formazioni delle altre. Si trovavano in case abbandonate o per strada e loro compito era quello di seminare il panico tra le truppe tedesche e fasciste e compiere atti di sabotaggio contro obbiettivi di vario genere.

Le difficoltà iniziali, per trovare gli uomini adatti a tali compiti, furono parecchie, difatti l'azione diretta contro l'uomo non era accettata da molti dei primi partigiani e la direzione strategica del partito comunista optò, nella fase iniziale, per gli attacchi a sorpresa a base di dinamite e di bombe a mano, che davano la possibilità di meglio facilmente sottrarsi ad eventuali risposte.

Artificiere di questi primi gruppi fù il modenese Emilio Pò.(2)  

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Quanto l'iniziativa comunista sia stata determinante nel condurre la lotta partigiana nel modo più dirompente possibile, non è ormai il caso di starne a discutere, malgrado i vari tentativi delle frange democristiane, socialiste, azioniste, di accreditarsi parte del "merito" della guerra civile, in modo particolare in questi ultimi anni, dato che così non succedeva negli anni '50 quando questi partiti prendevano le distanze dai partigiani rossi che, sistematicamente erano processati per delitti commessi particolarmente nel post "liberazione".

Nella sola Provincia di Modena oltre 600 persone furono processate per queste azioni, anche se, nella quasi totalità vennero assolte, favorite dalla legge che considerava "azioni di guerra" molti degli episodi più tragici e delle vendette commesse sino a due anni dopo il 25 Aprile.

La storiografia di parte comunista ha sempre accusato le altri parti politiche del CLN di attesismo, di paura o addirittura di "connivenza" con il "nemico", in quanto il loro modo di comportarsi concedeva, secondo le teorie comuniste, tempo e spazio ai nazifascisti di organizzarsi.

I comunisti insistevano e forzavano la mano agli altri per intervenire con immediatezza attraverso l'azione violenta, affinché si potessero creare sempre di più i presupposti per avvelenare gli animi e portare a tutti i costi il paese in una situazione di guerra civile congeniale alla visione comunista di presa del potere. sistema tipico operato in tanti paesi europei dai servi delle centrali moscovite.

  "Agire subito, in città, dove era possibile colpire con piccolissimi gruppi anche sommariamente organizzati e preparare così il terreno per l'adesione militare di quanti non accettavano la RSI ed avevano comunque bisogno di punti di riferimento."(3)

  E questo modo di sviluppare azioni terroristiche andava messo in atto al più presto possibile perché:

  "non va’ del resto dimenticato che nonostante le difficoltà e i contrasti interni.......il fascismo modenese, violento, non rispettato né amato finché si vuole, a livello esteriore sembrava potesse riprendere il controllo della situazione provinciale su tempi anche abbastanza brevi, tanto da non doversi preoccupare eccessivamente di crearsi alleanze neppure tra i ceti medi.... e di voler veramente applicare nei confronti di tutti, le nuove linee sociali e politiche."(4)

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La socializzazione non era, dunque, solamente un pretesto propagandistico, bensì una reale volontà del Governo Fascista e andava attuandosi con una certa rapidità e incontrava grandissimi favori specialmente negli strati popolari e nella classe operaia; bisognava pertanto distogliere queste forze vitali della nazione, impegnate in un processo di rinnovamento gigantesco, considerando il particolare momento nel quale venivano messe in atto; era dunque urgente, per i comunisti, sviluppare una vera e propria azione militare, appoggiata e finanziata dal capitalismo americano e messa in atto dalla manovalanza marxista, attraverso azioni di disturbo, attentati, imboscate ed omicidi dei fascisti più esposti ed alle truppe tedesche, dato che i comunisti ben sapevano quale sarebbe stata la reazione di questi ultimi nei confronti della guerriglia.

Fascisti e tedeschi sono cosi, se si può dire, rimasti intrappolati in questa spirale perversa, tanto da dover impegnare buona parte delle loro energie a fronteggiare, a prevenire, ma purtroppo sempre molto più spesso, a reprimere, le azioni di questi "patrioti" che volevano gettare a tutti costi l'Italia nel caos: ecco creata la lotta tra fratelli, la guerra civile!

    MARTEDI 29 FEBBRAIO 1944

In una serie di attentati gappisti in Comune di Modena, restano uccisi numerosi soldati tedeschi e fascisti oltre a dei civili.

Per un ordigno fatto esplodere nella autorimessa Lancia in Via Emilia Est, rimangono gravemente feriti tre soldati tedeschi ed un civile italiano che poi morirà in seguito alle ferite riportate, tale

 RENATO ANCESCHI(28bis).

A San Donnino della Nizzola veniva ridotto in fin di vita, mentre stava scendendo dal trenino della Sefta, il Colonnello della GNR, Germano Salvi.

In città, presso il Caffè del Popolo, in Via Canalino, luogo di raduno di militi della GNR, viene fatta esplodere una bomba che provoca sette feriti, due dei quali moriranno in seguito, mentre rimaneva uccisa sul colpo la giovanissima figlia del proprietario del locale, di sedici anni:

TOSI VALERIA.(29)  (vedi fotografia)

Altri attentati alle sedi ferroviarie vengono effettuati da gruppuscoli partigiani: vengono fatte saltare rotaie nei tratti della ferrovia Milano-Bologna, alla Crocetta e sul tratto Modena-Rubiera, mentre in Provincia un ordigno faceva saltare il binario della ferrovia Casalecchio-Vignola. Le Ferrovie provinciali subiranno danni sulla Modena-Mirandola presso Albareto, sulla Modena-Vignola in contrada San Lorenzo e sulla Modena-Sassuolo in località San Martino.(30)

In montagna, a Montefiorino, le bande partigiane provvedevano all'autofinanziamento con varie azioni: facevano irruzione nell'ufficio postale di Farneta derubando il danaro che si trovava in cassa; prelevavano dal negozio di tale Bertelli Maria a La Verna, chiodi per calzature, conserve, salumi e altri generi alimentari; anche nel negozio di tale Salvatori Sisto a Palagano venivano prelevati generi alimentari, così come al calzolaio Bonacorsi Filippo al quale venivano "prelevate" notevoli quantità di cuoio.(31)

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Ultimo aggiornamento: Settembre 2004