Emme Rossa |
Sommario
(da un racconto di Bruno Zucchini)
Nel capitolo “Rossi e Neri”, nella prima parte dedicata alla “Mia” Modena, ho raccontato dell’incontro avvenuto i primi mesi dell’anno 1949, alla Trattoria del Bersagliere, con gli ex fascisti ed i neo-fascisti modenesi, di quegli anni.
Avendo
trascorso, tutto il periodo del Movimento Sociale Italiano, sino alla sua
trasformazione in Alleanza Nazionale e pur non essendo, da quel momento,
legato né alla “Cosa di Fiuggi” né ai piccoli Partiti dell’area
dell’estrema destra, sono pur sempre rimasto vicino, idealmente, al mio
trascorso in quel variegato e, contraddittorio mondo, della “impropriamente
chiamata” destra, del nostro territorio.
Non è mai stato trattato un bilancio storico di un periodo che va dal dopoguerra ad oggi, dì quella, se si vuole, piccola fetta della società modenese legata idealmente al discusso, vituperato, incensato, periodo storico che prende la storia d’Italia dal 1921 al 1945, pur sempre attraverso tutte le contraddizioni, polemiche, conflittualità portate sino all’eccesso, nelle diversificate componenti ideologiche da sempre trovatesi all’’interno di quel minuscolo partito, almeno per quanto riguarda l’area territoriale modenese.
Già
al tempo del Fascismo, sia dentro al Partito sia nel Regime, convivevano
fianco a fianco italiani che si dicevano ugualmente fascisti, avevano la
stessa tessera e lo stesso distintivo, ma ragionavano, nel loro intimo, in
modo completamente diverso in funzione di una diversa origine e preparazione
politica. Quello che vi era nel suo fondo sostanziale nel fenomeno fascista, e
certo non mi permetto osservazioni nuove, aveva la sua origine nelle due
componenti nazionalista e socialista, tendendo a risolvere in una sintesi, il
problema della società italiana uscita da una guerra, la prima guerra
mondiale, vittoriosa sul piano militare ma sconfitta sul piano economico e
politico. Non vi fu improvvisazione ma una precipitazione, subita dalla
confluenza di quelle correnti, sino a quel momento separate, del nazionalismo
esasperato e dal sindacalismo socialista. Furono poi esercitate, in modo
confuso, varie influenze da parte di tanti movimenti culturali quali,
l’estetica dannunziana, l’esasperazione nietzchiana, la parte
tradizionalista, quella futurista, le tendenze oligarchice, la gerarchia, le
interferenze ecclesiastiche, quelle massoniche, le monarchiche e
conservatrici. Nonostante tutto questo, la linea più forte, quella nazionale
e sociale, servì come fattore di coesione attraverso la presenza dell’uomo
Mussolini che coagulò attorno a sé le varie necessità dell’animo comune.
Ma
sotto sotto e malgrado l’apparente conformismo, vi era dentro al fascismo la
conflittualità tra le stesse categorie culturali e sociali, gentiliani e
antigentiliani, artisti che si ispiravano al novecento avevano contro gli
antinovicentisti, vi erano sindacalisti che volevano a tutti i costi la
socializzazione e vi erano i conservatori reazionari e autoritari, anche la
mistica fascista, rivoluzionaria e intransigente, si scontrava con le
gerarchie imborghesite, vi erano repubblicani e monarchici, militaristi e
pacifisti, i filo inglesi e quelli che sostenevano un fronte mondiale delle
nazioni proletarie, quali l’Italia, la Russia, la Germania e il Giappone. Al
termine del conflitto gli uomini sconfitti dispersero le varie correnti, che
un uomo solo era riuscito ad unire, nelle diverse e disparate direzioni, a
volte opposte.
In
questo racconto, che cerca di ricordare brani di storia locale, sino ad oggi
mai presi in considerazione, vorrei che un briciolo di memoria storica fosse
dedicato a tutti quegli uomini, che, pur provenendo da diverse culture e da
diverse impostazioni spirituali, sociali e comportamentali, ben sapendo in
quale posizione sociale si andavano a collocare cioè di emarginazione e di
allontanamento dai vertici societari, si sono pur sempre battuti ed esposti
per dare un senso a quella che è stata la nostra tradizione a quello che era
stato il nostro recente passato che non può essere cancellato dalla protervia
dei padroni del potere locale provenienti tutti da una cultura che ha
sconvolto il mondo e che è rimasta totalmente sconfitta nella terra dove era
cresciuta.
Lo
scrivente, pur non essendo uno scrittore, né uno storico, né un politico di
professione, ha pur sempre militato, seppure con fasi esistenziali alterne, in
quel partito dal 1949 , ritengo pertanto di poter tracciare una sintesi di
questi sessanta anni, che si cerca di far dimenticare, come il periodo
precedente. Non sono in possesso
di documenti storiografici tali da poter dare un taglio scientifico a questo
mio racconto; cercherò ugualmente, facendo riferimento alla “mia memoria”
che ancor oggi mi supporta, di mettere in luce personaggi, fatti e avvenimenti
con riferimenti cronologici sufficientemente esaurienti.
26 Dicembre - Fondazione del Movimento Sociale Italiano a Roma
Il
Movimento Sociale Italiano nasce a Roma il 29 Dicembre 1946 nello studio di
Arturo Michelini, (futuro Segretario), alla presenza di Pino Romualdi, Giorgio
Almirante, Giorgio Bacchi, Giovanni Tondelli, Cesco Giulio Baghino, Mario
Cassiano e Biagio Pace.
Al
momento della fondazione di quel raggruppamento politico esistevano una
molteplicità di gruppi e gruppuscoli di orientamento neofascista, oltre a
partiti costituiti, come il Fronte dell’Uomo Qualunque (UQ), monarchici e
liberali che pescavano nel mondo “nostalgico” e che si presentarono alle
prime consultazioni elettorali del 1946 per la Costituente e alle
amministrative dell’anno dopo, che ottennero un certo successo.
La
comparsa sulla scena politica nazionale del MSI fece sì che formazioni come
l’UQ e tanti gruppuscoli si sciogliessero per confluire, in buona parte, in
quella struttura che già al suo primo apparire sembrava molto più omogenea e
convincente per un suo reale inserimento politico del paese a quei tempi.
A
Modena le prime elezioni amministrative si svolsero il 31 Marzo 1946; si
presentarono i partiti del CLN. Su di un totale di 62.676 voti validi, il PCI
ne ottenne 30.162 pari al 48,1%, il PSIUP, 11.991 voti pari al 19,1% e il PdA
(Partito d’Azione) lo 0,9%. Questo era lo schieramento di sinistra che
conquistò il potere locale assomando un totale pari al 68,1%. I comunisti
erano già potentemente organizzati e sulla base di forti pressioni, violenze
postbelliche che non si erano ancora concluse, riuscirono a far presa
sull’opinione pubblica conquistando quel potere che ancor oggi mantengono,
ininterrottamente, da quegli anni. Dalla parte opposta si presentarono : la DC,
che ottenne 17417 voti pari al 27,8%, il PRI 592 voti con lo 0,9% e il PLI
1.991 voti con il 3,2%. Venne eletto Sindaco il partigiano comunista, Alfeo
Corassori.
Subito dopo, il 2 Giugno, con il Referendum su Repubblica o Monarchia, si votò anche per la Costituente, dove l’area di destra era rappresentata dall’UQ che ottenne 2497 voti pari al 3,8% e l’UDN 1396 voti con il 2,1%. A sinistra il PCI ebbe un netto calo, il 6% in meno a vantaggio dl PSIUP e sia l’area di sinistra che quella di centro non subì sostanziali modifiche rispetto alle amministrative.
Nascita del Movimento Sociale Italiano a Modena
Le prime riunioni in casa Rovatti
In
città, le prime riunioni degli sconfitti avvennero principalmente in due
case: in quella del Rag. Giorgio Fabbri, assicuratore, e in quella del
“proletario” Otello Rovatti in Rua Muro. Erano riunioni “carbonare”,
girava ancora per la città la cosiddetta “Volante Rossa”, la polizia
partigiana che, per un certo periodo, con una parvenza d’autorità
concessale dal CLN, fermava, arrestava, fucilava, commetteva soprusi di ogni
sorta ma che, dopo il ripristino di una certa legalità e con la
ricostituzione quasi immediata dell’arma dei Carabinieri, venne esautorata,
operando però in una specie di semi-clandestinità continuava ad esercitare
una certa pressione sulla cittadinanza, di conseguenza per i fascisti, per
quelli rimasti tali o per quelli presunti, era estremamente pericoloso
circolare per la città specialmente di sera.
In
quella casa venne anche ospitato, per un certo periodo, colui che diventò il
capo indiscusso del Movimento Sociale Italiano, Giorgio Almirante, il quale,
dopo il crollo della RSI trovò rifugio nella nostra città svolgendo
un’attività di copertura, il rappresentante di commercio, ed iniziò così
a reinserirsi nella vita sociale del paese.
Nel
1947 fu scelto il simbolo del partito, la “Fiamma Tricolore” che era stato
l’emblema degli arditi della prima guerra mondiale.
In
quei primi anni, i gruppuscoli di area neofascista come i FAR (Fasci di Azione
Rivoluzionaria) e altri si andarono via via dissolvendo per entrare nella
legalità del nuovo Movimento Sociale Italiano; presero forma una serie di
periodici di area che ebbero una certa rilevanza e diedero la possibilità,
anche in provincia, di conoscere ciò che avveniva e “bolliva in pentola
”nella Capitale. A Modena arrivavano queste pubblicazioni e, alcune edicole,
quali la “Rosina” in pieno centro, l’edicola Panini in Corso Duomo o
quella di “Palmino” in Via Saragozza, erano il punto di riferimento per
tanti giovani che desideravano essere “informati”. Molti erano i
settimanali e i quindicinali che fornirono una tribuna molto importante, alle
diverse anime del neofascismo che si stava impegnando per una ripresa politica
“democratica”.
Ricordo
il “Meridiano d’Italia” diretto da Franco De Agazio, “Il Pensiero
Nazionale” di Stanis Ruinas, “Rivolta Ideale” diretto da Giovanni
Tonelli, e che nei primi anni risultò essere uno dei più seguiti; “Il
Merlo Giallo” diretto da Alberto Giannini, il “Rosso e Nero”, “Senso
Nuovo” diretto da Achille Cruciali, “Noi” del Direttore Bruno
Spampanato, “ Asso di Bastoni” chiamato anche “Settimanale satirico
anticanagliesco” uno dei più seguiti, che raggiunse anche le centomila
copie vendute settimanalmente, diretto inizialmente da Ferdinando Marchiotto,
poi da Pietro Caporilli; il settimanale di Leo Longanesi “Il Borghese” e
il notissimo “Candido” di Giovanni Guareschi. La lettura di questa stampa
dava ai giovani la possibilità di “iniziare” una “cultura di destra”,
ma non la forgiava completamente, e non la rendeva “pregnante”.
Alle
elezioni politiche del 18 Aprile 1948, si presenta anche la lista del
Movimento Sociale Italiano, che su una parte limitata del territorio nazionale
riesce a portare in Parlamento sei deputati e un senatore con 583.000 voti
pari allo 0,8%. Vi fu, in quella tornata elettorale, una dura sconfitta del
“Fronte Popolare” delle sinistre, che raggiunse il 30,98%, a favore della
vittoria della Democrazia Cristiana, che con 12.740.042 voti arrivò al
48,51%; a Modena vinsero le sinistre con 38.160 voti pari al 52,2% contro i
25.646 voti della DC pari al 35,1% mentre
il Movimento Sociale con 583 voti prese lo 0,8%.
Subito
dopo il Movimento Sociale celebra a Napoli, dal 27 al 29 Giugno 1948, il suo
Primo Congresso. Le varie anime del Partito si confrontarono su posizioni non
esasperate, con la visione di un certo compromesso: risultò vincente la
componente di sinistra che mantenne il controllo del Partito con Giorgio
Almirante alla Segreteria e con Vice Segretari Gianni Roberti, Arturo
Michelini e Massi.
La
sintesi tra i fautori ad oltranza della “socializzazione” e quella dei
sostenitori del “Corporativismo” venne costruita da Augusto De Marsanich
che, in riferimento al Fascismo, trova, nella formula “Non rinnegare, non
restaurare”, l’accettazione dei congressisti, attraverso l’invito alla
pacificazione tra le generazioni che il dramma della guerra civile ha diviso.
La posizione dei sei deputati missini in Parlamento suscitò perplessità e polemiche che vennero messe a tacere dalla Dirigenza del Partito che sulla “Rivolta Ideale”, precisò che “essendo l’estrema sinistra occupata dagli uomini di Togliatti, per logica coerenza, gli uomini del Movimento Sociale non potevano, se non collocarsi all’opposto di questi”.
14 Luglio 1948 - Attentato a Togliatti
Nella
mattinata del 14 luglio 1948, Palmiro Togliatti viene colpito da tre colpi di
pistola sparati a distanza ravvicinata mentre esce da Montecitorio
in compagnia di Nilde Iotti. L'autore dell'attentato a Togliatti
è un giovane simpatizzante di estrema destra, iscritto al Partito Liberale, Antonio Pallante. I
proiettili, sparati da una pistola calibro 38, colpiscono il leader del PCI
alla nuca e alla schiena, mentre una terza pallottola sfiora la testa di
Togliatti. Nelle ore in cui si attende l'esito dell'intervento si diffondono
le più diverse voci sullo stato di salute di Togliatti: circola addirittura
la notizia della morte del segretario comunista. Il clima politico del paese
è caldissimo. Poche ore dopo l'attentato si verificano incidenti a Roma e morti a Napoli, Genova, Livorno
e Taranto
nel corso di violentissime manifestazioni di protesta. Il Paese sembra
sull'orlo della guerra civile.
Anche
a Modena vi furono momenti di tensione notevole. Le strade della città erano
percorse, in un clima surreale, da pattuglie della polizia e dai gruppi
dell’estrema sinistra. La maggioranza delle persone restava chiusa nelle
proprie case. L'operazione a Togliatti andò a buon fine e, si dice che il
dirigente del Partito Comunista Italiano impose ai luogotenenti del PCI, Secchia
e Longo,
che diressero il Partito in quei drammatici momenti, di fermare la rivolta.
L'insurrezione di massa delle organizzazioni militanti comuniste si arresta,
ma tutti sono convinti che abbiano contribuito a moderare gli animi e superare
quella crisi, le imprese di Gino Bartali, al Tour
de France.
L’anno
1949 mi vedeva, all’inizio, ancora impegnato con la congregazione dei Frati
Cappuccini di Via Ganaceto e con la partecipazione alle varie manifestazioni
condotte dai “Terziari Francescani”. Partecipai difatti come delegato
modenese assieme al Dott. Carlo Luppi, al Congresso Nazionale che si tenne a
Maggio al convento dei Francescani di Frascati.
Gradualmente
mi avvicinai, come raccontato nel capitolo “Rossi o Neri”, al
raggruppamento Giovanile chiamato “Giovane Italia” del Movimento Sociale
Italiano, dove mi iscrissi nel Novembre di quell’anno.
Nel
frattempo, dal 28 Giugno al 1° Luglio, si era tenuto a Roma il 2° Congresso
del MSI che vide rinnovarsi il confronto tra le posizioni di sinistra che
tendevano ad orientare il Partito in senso più sociale e le posizioni
moderate. Le due fratture sostanziali, all’interno del MSI si evidenziarono
nella posizione dei “moderati”, Arturo Michelini, Augusto De Marsanich,
Nino Tripodi che invocavano l’unione delle forze nazionali in funzione
anticomunista; anche i “traditori monarchici e badogliani” potevano
tornare utili nella lotta al comunismo, così come sul tema dell’Alleanza
Atlantica (NATO) al quale, questo schieramento, era decisamente favorevole; a
sinistra, Giorgio Almirante, Giorgio Pini, Concetto Pettinato, Domenico
Leccisi e altri dichiararono che coloro che rimasero fedeli a sé stessi
durante la RSI, non erano, e non sono, gente di destra e quelli che
concepiscono il partito in esclusiva funzione anticomunista, conservatrice e
reazionaria non fanno parte della famiglia del MSI, così come schierarsi a
favore del Patto Atlantico non può essere accettato dato che, non è
possibile essere “alleati e vinti” nello stesso tempo.
Queste due anime del partito saranno sempre presenti nella storia del Msi seppure con alcune varianti e in molte zone, Modena compresa, con notevoli contrasti.
A
Modena i conflitti sociali in quegli anni erano molto forti e sfociarono,
il 9 gennaio 1950 in un eccidio. Vi fu una vera e
propria strage della polizia, quando i lavoratori del complesso siderurgico
Orsi, dopo il licenziamento di 200 operai su 800 ed una serrata padronale di
40 giorni, si erano avvicinati ai cancelli nell’intento di riprendere il
lavoro questa apre il fuoco uccidendo sei persone. Altri 51 operai rimangono
feriti. Vi furono giorni di notevole tensione sia in città sia in altre parti
del territorio nazionale.
Ma
il successo del Movimento Sociale Italiano arrivò, sia a Modena che in tutta
Italia, con la grandissima partecipazione giovanile. I giovani che non avevano
fatto la guerra diedero una entusiastica adesione alle organizzazioni del RGSL
(Raggruppamento Giovanile Studenti e Lavoratori) fondato a Roma il 12 Marzo
1949 dall’esuberante deputato, ex combattente di “Bir El Gobi”, Roberto
Mieville. L’anno successivo, il 21 Maggio 1950, si diede corpo
all’organizzazione degli studenti Universitari con la costituzione del FUAN
(Fronte Universitario di Azione Nazionale), mentre, due mesi prima il 24
Marzo, si era costituita la CISNAL (Confederazione Italiana Sindacato
Nazionale Lavoratori) guidata dall’On. Gianni Roberti.
Si
andavano così delineando, sul territorio nazionale, tutte le strutture che
costituivano l’ossatura portante del Partito. La Cisnal a Modena ebbe sede,
inizialmente in Via Cesare Battisti, in seguito in Via Canalino con alla
guida, inizialmente il sindacalista Cesare Piccinini, poi Giuseppe Grasso.
Uomini della destra modenese alla fine degli anni quaranta
Dei personaggi modenesi incontrati in quei lontani anni, ne ricordo alcuni; tanti altri, che meriterebbero di essere citati in questo personalissimo racconto, cercherò di ritrovarli via via che vado a pescare nella mia memoria, coloro che mi sfuggono o che non riesco a ricordarli spero possano essere ricordati in un secondo tempo anche attraverso l’aiuto di amici e camerati che hanno vissuto a contatto con coloro che, in maggior o minor misura, hanno vissuto i momenti della vita politica del Movimento Sociale modenese.
Uno
dei fondatori e dirigente del Msi è stato il Rag. Giorgio Fabbri, Segretario
del Partito per un certo tempo e collaboratore del quotidiano “Il Secolo
d’Italia”, noto assicuratore, ha sempre dato, anche negli anni a seguire,
la partecipazione attiva al Partito assieme alla grande esperienza sempre
unita alla sua proverbiale bontà d’animo.
Il
Prof. Amerigo Ansaloni è stato Segretario del Partito nei primi anni
cinquanta lasciando un ricordo indimenticabile della sua personalità; il
Professor Ansaloni divideva la sua passione per la politica con l’attività
professionale: aveva in centro storico, precisamente in Via Università un
negozio di arte dove si confezionavano cornici di pregio e commerciava oggetti
d’arte di valore.
Uomo
dotato di un carattere aperto e bonario, lo trovavi sempre disponibile, in
modo particolare quando i giovani avevano bisogno di consigli e aiuti
che venivano dettati da una “umanità” e conoscenza dei problemi della
vita, non indifferenti.
Il
Prof. Francesco Zambrano, insegnante di lettere all’Istituto Magistrale
Sigonio, grande dantista e latinista, uomo di fede dotato di grande senso di
responsabilità anche nei momenti difficili della vita del Partito, sapeva
sempre creare attorno a sé unanimità d’intenti che portavano a stemperare
anche scontri accesi e apparentemente insanabili.
Nino
Saverio Basaglia si può dire sia stato un “faro” per molti giovani
modenesi. Uomo di fede adamantina, con il suo “pizzetto” la sua figura
“carismatica”, sapeva cogliere le istanze giovanili in modo lucido e
razionale. Sindacalista pieno di “verve”, dotato di vasta cultura,
scrittore, giornalista, combattente in Albania sul Monte Kosica con le Camicie
Nere modenesi, aveva attraversato tutti i momenti più difficili del periodo
della Rsi, riusciva sempre ad instaurare un rapporto di vero “cameratismo”
specialmente con i giovani, dando loro quella “sicurezza” necessaria anche
nei momenti più difficili.
L’Avv.
Gino Mori, primo Consigliere Comunale del MSI della nostra città, per la
signorilità, compostezza, rettitudine che lo distinguevano, seppe conquistare
le simpatie e il rispetto anche degli avversari, in quella difficile arena
nella quale venne a trovarsi. I suoi interventi in consiglio comunale vennero
sempre apprezzati per il suo senso di moderazione e di civiltà.
L’Ing.
Bruno Rivaroli, uomo partito: vivacissimo, piccolo e minuto ma carico di
energia, i suoi interventi nelle riunioni in sede, nei tantissimi anni di sua
militanza (si è spento alcuni anni or sono
quando ne aveva compiuti novanta), avevano sempre un aspetto e un contenuto
significativo per tutti i presenti. Aveva avuto un ruolo importante in quel di
Pavullo durante il periodo dei “Seicento Giorni”, contraddistinto anche da
polemiche, durante e dopo, sia con gli avversari politici che all’interno
dello stesso MSI. Fu per lunghi anni Consigliere Provinciale, dove si confrontò
sempre ad armi pari con la “marea” di comunisti, socialisti e
democristiani, che doveva affrontare in memorabili battaglie.
La
Sig.na Lina Grandi, responsabile del settore femminile del MSI ebbe un ruolo
rilevante nei direttivi dei primi anni del partito a Modena. Ha curato con
competenza e sacrificio la ricostruzione degli schedari dei Caduti della RSI
in territorio modenese, dirigendo la sezione dell’Associazione Nazionale
Caduti e Dispersi della RSI, curando inoltre la sistemazione, al cimitero di
San Cataldo, del piccolo sacrario dei Caduti.
Assieme
a Lei ha seguito con particolare competenza e partecipazione quel settore, il
Rag. Fabio Rebucci, fratello di un caduto Repubblicano, ucciso dai partigiani
di Moranino, nell’efferato eccidio delle carceri di Novara nell’immediato
dopoguerra.
Dei primi anni di vita del Movimento Sociale Italiano a Modena ricordo ancora il Dott. Vincenzo Marino e l’Ing. Gianfranco Bacchi, fratello di Annamaria, uccisa dai partigiani pochi giorni prima della fine della guerra, di molti altri si avrà modo di ricordarli man mano che procede il racconto.
Erano
anni di difficoltà e conflittualità interne al partito, di non poco conto.
Ci fu un momento in cui non si riusciva ad eleggere il Segretario Provinciale
e da Roma venne inviato un Commissario Straordinario, che resse la Federazione
per circa un anno, Franco Dragoni. Era, come si suol dire, un
“fegataccio”, non aveva difficoltà ad esporsi in prima persona, anche
perché proveniva da esperienze romane di quelle “toste”.
Manifestazioni studentesche per Trieste
Gli
inizi degli anni ’50 furono, per il Raggruppamento Giovanile del MSI, pieni
di attività. Le manifestazioni studentesche per Trieste Italiana, erano
sempre seguitissime. I numerosi e “vivaci” cortei; per il centro di
Modena, guidati dagli Universitari del Fuan e dagli studenti medi della
“Giovane Italia”, riuscivano a portare migliaia di studenti
dell’Università e delle scuole medie superiori, al canto di inni nazionali
e con lo sventolio di innumerevoli bandiere tricolori, a percorrere quelle
strade del centro storico che, negli anni settanta videro invece sfilare gli
studenti modenesi al seguito delle “bandiere rosse”.
Ricordo
che ad una di quelle manifestazioni del 1951, il corteo degli studenti venne
bloccato dalla polizia e dirottato per strade diverse da quelle programmate;
di solito si percorreva la Via Emilia per concludere la sfilata al Monumento
dei Caduti sui viali del parco cittadino. Quel giorno i gruppi si dispersero
per Via Università e nelle strade adiacenti, per ricomporsi di nuovo sotto i
portici del Collegio. Proprio in pieno centro, tra il bar Molinari e
l’edicola della “Rosina”, si venne a trovare il questore (uomo di
piccola statura e grassottello) contornato da numerosi agenti di polizia.
All’improvviso, dal gruppo degli studenti, si alzò un coro: “Lo
sai che i papaveri sono alti alti alti e tu sei piccolino e tu sei
piccolino….” (era l’anno della canzone di Nilla Pizzi al Festival di San
Remo): La “presa in giro” degli studenti non piacque al questore che ordinò
una carica violentissima sotto al Portico del Collegio, con le camionette
della “Celere” che facevano evoluzioni “pazzesche” tra le colonne dei
portici e la Via Emilia, con i tavolini e le sedie del bar Nazionale che
volavano da tutte le parti e con gli studenti che o si rifugiavano nelle
stradine laterali dentro ai portoni o si “aggrappavano” alle colonne e ai
“fittoni” del Portico ove solitamente si era soliti passeggiare per lo
“struscio”. I manganelli e
gli “sfollagente” dei poliziotti, roteavano sulle schiene e sulle teste
dei giovani che avevano “osato” schernire l’autorità costituita.
Lo
scrivente di queste note organizzava le manifestazioni all’interno
dell’Istituto Barozzi, nella maggior parte quegli scioperi partivano proprio
da quella scuola, poi ci si recava davanti al Liceo Scientifico “Tassoni”,
al Liceo Classico “Muratori”, all’Istituto Magistrale, all’Istituto
Corni e al Liceo d’Arte “Venturi” a cercare di far uscire dalle aule
quelle scolaresche. In alcune circostanze mi capitò, di “prelevare”,
dall’ufficio di Presidenza, la bandiera tricolore, con il Preside, Prof.
Mario Negri che mi rincorreva per i corridoi del vecchio convento di Corso
Cavour dove si trovava allora il “Barozzi”, poiché non gradiva quel primo
tipo di “esproprio”. Era ovvio che, al termine della manifestazione, il
tricolore ritornava al suo posto, magari attraverso la consegna ai bidelli e
non al Capo d’Istituto, per ragioni comprensibili.
Noi
avevamo la soddisfazione, mentre sfilavamo per le strade della città di
ricevere il plauso e il saluto di tanti cittadini che, al passaggio del
tricolore, si sentivano in dovere di segnalare il loro gradimento partecipando
in quel modo al nostro entusiasmo.
Il
10 e 11 Giugno di quell’anno, partecipai al raduno dei Bersaglieri a
Gorizia; andai con un gruppo di reduci cercando di rappresentare e onorare il
“piumetto” di mio fratello che, Ufficiale del 3° Reggimento Bersaglieri,
non era tornato dai campi di concentramento sovietici. Fu una giornata di
vibrante italianità e mi resi conto del dramma che stavano vivendo quelle
popolazioni. Gorizia era divisa a metà, una parte italiana, l’altra
jugoslava. Entrai in una casa dove sui pavimenti, segnato da una grossa
striscia rossa, vi era il confine, se superavi quella linea ti trovavi in
territorio Yugoslavo con tutte le conseguenze che potevi correre. Era un clima
allucinante e assurdo.
Si
andava, in quei primi mesi del 1951, in giro, frequentemente per comizi e ad
”attaccare” manifesti elettorali sui muri della città; spesso ci si
“scontrava”, più frequentemente a parole, ma qualche volta anche con
brevi tafferugli, in modo particolare con i “rossi”. Era normale che si
facessero le “ore piccole”, logicamente la mia attività sportiva e le
lezioni scolastiche subivano pesanti “contraccolpi”.
Il
10 Giugno si tennero, sul nostro territorio, le elezioni amministrative alle
quali partecipò, per la prima volta, anche il Movimento Sociale che ottenne
un buon successo conquistando, con 2.153 voti, il 3% ed eleggendo il primo
Consigliere Comunale nella figura dell’Avv. Gino Mori. Gli altri partiti si
attestarono sui seguenti valori: Area di sinistra: PCI 32.427 voti con il
44,6%, il PSI il 7,8% l’IS il 2,1%. L’area di centro vide la DC al 30,8%,
il PSULI lo 7,8%, il PLI il 2,7% e il PRI lo 0,7%. Si presentò anche il PNM
(Partito Nazionale Monarchico) che ottenne lo 0,5%.
Partecipai,
sempre in quell’anno, al campeggio organizzato dalla Giovane Italia al Parco
Nazionale d’Abruzzo, nelle vicinanze di Villetta Barrea, splendida località
inserita in una natura bellissima, tra il Monte Meta e la “Camosciara”,
con l’orso marsicano sempre nelle nostre vicinanze, ci fece visita notturna
alcune volte, ripulendo i pentoloni con i resti della nostra cena. Erano con mè
altri modenesi, Carlo Luppi, Libero Todaro, Franco Casolari, Carlo Poppi e
Libero Lolli. Furono quindici giorni splendidi, anche perché quelle furono le
prime “vere vacanze” che riuscivo a fare. Quando lessi, a distanza di
tempo, che il Msi organizzava in terra d’Abruzzo campeggi paramilitari,
rimasi esterrefatto. Ma dove, ma quando? La mia esperienza con i
“camerati” romani fu di tutt’altro tipo. Si cantavano sì, canzoni
nostalgiche assieme agli struggenti cori alpini, alla sera attorno ai fuochi,
si discuteva anche di politica, ma la nostra vita quotidiana trascorreva, tra
escursioni agli splendidi monti che ci circondavano con camminate che duravano
ore e ore, e la preparazione del cibo: occorrevano circa due ore di cammino
per raggiungere il paesino di Villetta Barrea e fare i nostri rifornimenti.
Mai, dico mai, ho avuto il sentore della presenza di armi e nemmeno di
proposte a compiere esercitazioni paramilitari. La nostra era una dimensione
puramente cameratesca e sportiva.
Inagurazione sede MSI a Modena
Il
6 Novembre vi fu l’inaugurazione
della sede del Msi in Via Cesare Battisti, finalmente locali abbastanza
ampi. A qui tempi la sede era frequentata da tantissimi giovani, studenti e
lavoratori e in quell’ambiente ebbi la possibilità di crearmi delle buone
amicizie, non solo sul piano politico, ma fondamentalmente sul quello umano.
Cito coloro che mi vengono alla memoria e di tanti avrò modo di parlarne
ancora in questo mio ricordo della vita del movimento sociale dei primi tempi:
il Prof. Franco Bartolamasi, il Dott. Gianpaolo Manzini, il Prof. Pietro
Cerullo, il Dott. Gianni Calabrese, l’Avv. Adriano Sciascia, Sergio Bacchi,
Nino Gualtieri, l’Avv. Leopoldo Parigini, Giancarlo Monducci, Arturo
Messerotti, Sergio Franchini, Enzo Cavazza di Carpi, Trentini Rodolfo di
Pievepelago, Dino e Rosanna Orsi di Carpi, Manfredo Garuti, Vittorio Ledi di
Carpi, Otello Rovatti, Dino Corradi, l’Ing. Turno Sbrozzi e Alfredo
“Dino” Ferrari, nato il mio stesso anno, il 1932 e che, di tanto in tanto,
nonostante la sua evidente “distrofia muscolare”, frequentava la nostra
sede ma, per evidenti ragioni, non era molto presente alle nostre azioni più
“dinamiche”. Una sola volta gli chiesi: “Ma cosa ne pensa tuo padre di
questa frequenza al nostro ambiente?” mi rispose “che gli andava bene”.
Quando ne parlai con mia madre, che era stata amica della moglie di Enzo
Ferrari, ne uscì anche un piccolo “gossip” che allora non mi interessava
più di tanto.
Il 17 novembre 1951 il principe Junio Valerio Borghese aderisce al Msi,
che dirama in proposito un comunicato con il quale saluta "con senso
commosso di orgoglio" l’ingresso di Borghese nel partito, affermando:
"L’atto del Comandante probabilmente altro non fa che dare crisma di
ufficialità a quella comunione di fede e di intenti che ha sempre legato il
Partito all’Eroe; ma non è per questo meno importante ed indicativo agli
effetti politici e morali…L’atto ufficiale di Valerio Borghese consacra
quindi il Msi come l’unico centro attivo di attrazione per il quale gli
italiani veramente sentono di dovere e di potere ancora servire la Patria
nella battaglia morale e politica che conducono per la resurrezione. E non è
senza significato che Valerio Borghese abbia chiesto l’iscrizione al Msi nei
giorni stessi in cui Mario Scelba istigava il Senato a violare la Costituzione
con la legge repressiva contro il fantomatico neofascismo. L'Eroe di tutte le
battaglie del mare; il violatore di Malta, di Gibilterra e di Alessandria; il
condottiero impavido delle legioni di veterani e di giovanissimi della X Mas
che nell’ora della tragedia seppero offrire la vita per salvare l’onore
d’Italia, ha saputo e voluto fare la propria scelta nell’ora del pericolo.
L’uomo che, animando della propria fede e della propria perizia degni
gregari, seppe infliggere colpi mortali e definitivi alla potenza e al
prestigio britannico sui mari, entra nella lotta politica levando alta la
bandiera del proprio passato, che è quella dell’Italia eroica della grande
tradizione. Mentre l’Antitalia sta giocando le sue ultime carte contro
l’Italia dell’onore e della rinascita, Valerio Borghese ha ripreso
impavido ed indomito il proprio posto di combattimento nelle file del Msi. Per
questo il Msi lo saluta con commosso e riconoscente orgoglio"
La
vita al partito andava avanti, per il sottoscritto, con alterne vicende poiché
avevo frequenze attive in altre compagnie, di conseguenza la mia presenza non
era costante. Sempre nel 1951, agli inizi di Settembre vi fu uno scontro con i
comunisti. Uscivamo da una serata a casa dell’Avv. Araldi, non ricordo se in
Via G. Guarini o in Via Saragozza e, dopo cena, ci incamminammo per i viali
cittadini in un bel gruppetto, per una salutare passeggiata “digestiva”
dopo la “mangiata” di gnocco e salumi annaffiata da buon lambrusco:
certamente vi furono anche una serie di canti “nostalgici”, quando
arrivammo in Viale Berengario all’altezza circa di Via Voltone e di Via
della Cerca, sbucò all’improvviso un gruppo di comunisti armati di catene e
spranghe. Ci fronteggiammo in “cagnesco”, qualche spintone un po’
violento e qualche cazzotto ci furono prima che arrivassero le camionette
della polizia, probabilmente avvertita da qualche cittadino, che misero
termine alla “vivace discussione” con alcuni fermi da entrambe le parti.
Il giorno seguente, sul quotidiano comunista, venne pubblicato un lungo
articolo che deprecava “la bravata notturna” dei soliti fascisti, con
argomentazioni che niente avevano a che vedere con la realtà di
quell’episodio.
Nel
1952, a L’Aquila, dal 26 al 28 Luglio si svolse il terzo Congresso del MSI
con la guida del Segretario Nazionale Augusto De Marsanich, che aveva
sostituito Giorgio Almirante.
Già
prima, all’interno del vertice del partito, si era creata notevole tensione
per il rifiuto della corrente di sinistra ad accettare l’intensificarsi dei
contatti con la destra monarchica e democristiana; vi fu anche una piccola
scissione dei quadri piemontesi con la costituzione di un Gruppo Autonomo
Repubblicano. Il grosso successo del Partito alle elezioni amministrative
diede la possibilità di contenere gli scontri tra “falchi e colombe” e la
sinistra, pur avendo avuto al Congresso, una vittoria sostanziale, si vide
costretta ad accettare e ad abbozzare le posizioni “filo-atlantiche” dei
moderati.
Il
1953 fu l’anno del consolidamento su tutto il territorio
nazionale del Movimento Sociale Italiano che ottenne, alle elezioni del 7
Giugno un notevole successo elettorale; alla Camera ebbe 1.582.567 voti pari
al 5,8% portando in parlamento 29 Deputati, e con 1.473.596 voti, pari al 6,0%
al Senato, dove entrarono 9 Senatori per i Msi. A Modena la battaglia
elettorale fu accesissima, striscioni, per le strade, manifesti su tutti i
muri, volantini che ricoprivano letteralmente le strade, tutto il partito e in
modo particolare il Raggruppamento Giovanile fu tenuto, per alcuni mesi,
decisamente “sotto pressione”.
La
posizione del Msi in questa tornata confermò, quasi, le elezioni
amministrative del ’51; con 2.215 voti pari al 2,8%. Sempre a destra si
presentarono anche i monarchici che, con 994 voti ottennero lo 1,3%. Discreto
il successo dei partiti di centro, con la DC che raggiunse il suo massimo
storico con il 32,0% e 24.954 voti, il PSDI 5.314 voti con il 6,8%, il PRI 441
voti e lo 0,6% e il PLI il 2,4%. L’area di sinistra subì un netto
ridimensionamento con il PCI “ridotto” al 41,5% con 32.445 voti, il PSI
con voti 7.160 e il 9,6% e l’UP 1.303 voti pari al 1,7%.
5 marzo 1953 muore Giuseppe Stalin
Il 5 marzo 1953 muore Giuseppe Stalin. A Modena i “rossi”
inscenarono una veglia funebre. Ricordo che alla Camera del Lavoro, in Via San
Vincenzo, angolo Via Modonella, era stata allestita una camera ardente con la
fotografia del defunto e con la folla comunista in “adorante” processione
a portare l’estremo saluto al “sanguinario” dittatore russo.
Ovviamente a destra vi era un clima completamente opposto, però non andarono “in scena” quelle manifestazioni che molti giovani della “Giovane Italia” avrebbero voluto allestire. Certo, pensare a come gli italiani avevano trattato il “loro” dittatore a Piazzale Loreto e vedere come invece osannavano il defunto “baffone”, senza conoscere le devastanti conseguenze che il comunismo aveva portato nella stessa Russia, non poteva essere accettato dagli uomini che si erano battuti contro il “moloch” moscovita.
La “rossa” Modena
sembrava dovesse ridimensionarsi su posizioni più vicine alla media
nazionale, ma fu una “pia illusione”: Obiettivamente la situazione della
destra modenese era, in quegli anni, abbastanza positiva; la massiccia
presenza di giovani faceva ben sperare nel futuro ma, come sempre accade per i
giovani, l’inserimento nella vita lavorativa con i problemi familiari che
man mano sorgono, con le situazioni economiche personali, nella maggior parte
dei casi, difficili, tanti di questi, con il passare degli anni affievolirono
la loro tensione ideologica e si
emarginarono gradualmente; molti passeranno anche sull’”opposta sponda”.
I
Segretari del partito e le Direzioni che man mano si avvicendavano alla guida
del MSI, in Provincia di Modena, si trovarono sempre ad affrontare difficoltà
quasi insormontabili. Benefici economici non c’erano, anzi spesso si
dovevano fronteggiare certe situazioni, di “tasca propria”, le
“sovvenzioni” di qualche privato non erano sufficienti, le conflittualità
interne sempre attuali, la “pressione” pesante dei “sinistri” che
dominavano e dominano ancora il territorio, oltre a tante frange di area
democristiana e clericale, non davano quel margine di “sicurezza” per
gestire un partito politico in quelle particolari condizioni. Bisogna dare
atto a tutti coloro che si sono impegnati nell’”area di destra”, di aver
avuto il coraggio morale e civile di affrontare una difficile battaglia in
anni irti di ostacoli, che vanno dal 1950 al 1990.
Il 4° congresso del Msi, si tenne nei primi giorni del 1954, dal 9 all’11
Gennaio, a Viareggio. Le varie anime che costituivano, sia a
Modena, che in tutta Italia l’ossatura del MSI, si scontrarono nuovamente al
Congresso nella splendida località della Versilia, dove, ai lavori
congressuali furono presentate tre mozioni; quella di maggioranza: “Per
l’Unità del Movimento” alla quale aderisce anche Giorgio Almirante, su
posizioni atlantiste e favorevoli alla collaborazione con il PNM, disponibili
inoltre alla contrattazione parlamentare; la mozione di “sinistra” con la presenza di uomini quali Bruno Spampanato,
Giorgio Bacchi, Palamenghi-Crispi e chiamata “Per una Repubblica Sociale”
ed una terza mozione che rappresentava le istanze del “Raggruppamento
Giovanile Studenti e Lavoratori” con alla testa, Pino Rauti, Enzo Erra e
Pino Romualdi, che sostenevano la tesi che “sia il marxismo che il
capitalismo sono i nostri mortali nemici in quanto rappresentano in pratica la
stessa concezione di vita che è inconciliabile con quella che anima le nostre
idee”. Nella mozione finale si troverà un “aggiustamento” in modo da
poter far entrare in Comitato Centrale tutte le componenti; saranno in 66
quelli del gruppo “centrista”, in 31 quelli di “sinistra” mentre i
restanti 22 andranno al gruppo di Rauti e Romualdi.
Alla fine vi
fu soddisfazione da parte di tutti poiché si videro, in parte, superate le
incertezze e le preoccupazioni sorte nei precedenti Congressi, sentendo di
aver conquistato, anche sulla base dei positivi risultati elettorali,
legittimità e cittadinanza politica. In conseguenza a questa situazione
durante il mese di ottobre del’54, il Segretario del Partito Augusto De
Marsanich passerà le consegne a quell’abile mediatore e tessitore di
alleanze che è stato Arturo Michelini che reggerà le sorti del MSI per un
lungo periodo, sino al 1969.
Personalmente,
negli anni dal 1953 al 1956, frequentando l’Isef romano, durante i mesi
invernali, e lavorando in quelli estivi, presso l’Istituto Autonomo delle
Case Popolari per potermi sostenere le spese degli studi, non ebbi molto tempo
da dedicare al partito; molti fatti della vita modenese, li apprendevo a
distanza di tempo o dalla lettura dei giornali o da qualche rara comunicazione
da parte degli amici rimasti a Modena. Una delle ultime mie partecipazioni di
quel periodo, avvenne il 4 Novembre 1954 quando, con un gruppetto di modenesi
si partecipò, a Trieste, all’immensa manifestazione di italianità che
vedeva ritornare quella città sotto la giurisdizione italiana. Dopo tutti gli
scioperi e le manifestazioni studentesche alle quali avevo partecipato negli
anni precedenti per cercare di ottenere questo risultato, mi pareva opportuno
essere presente, quel giorno, assieme a centinaia di migliaia di italiani, a
quella grande festa Tricolore.
Un’altra
imponente manifestazione, alla quale partecipai, trovandomi in quel periodo a
Roma, fu quella dei grandiosi funerali del Maresciallo d’Italia Rodolfo
Graziani che era deceduto l’11 Gennaio 1955.
A Modena, in
quel periodo, si verificarono due episodi dei quali ne venni a conoscenza a
distanza di tempo e cioè di un tentativo fatto, si diceva, da due militanti
di destra, di incendio alla sede dell’Anpi e dell’esplosione di un ordigno
alla redazione modenese dell’”Unità”; per quest’episodio venne
“fermato” un giovane missino.
Rivolta in ungheria - Ottobre 1956
A fine
Ottobre 1956 inizia la rivolta Ungherese che
verrà repressa nel sangue dai carri armati russi. Vi furono decine di
migliaia di morti e tutto il mondo rimase sbigottito dalla ferocia dei
sovietici, i quali, chiamati dai comunisti ungheresi che si vedevano sfuggire
di mano il loro potere, appoggiati dall’Internazionale comunista e dal
Partito Comunista Italiano soffocarono brutalmente quell’audace tentativo di
ribellione. Grosse responsabilità vi furono da parte di certo mondo
occidentale che, in precedenza, attraverso le radio in lingua ungherese,
dichiarava che il “così detto mondo libero” era pronto a dare tutto
l’aiuto possibile a sostegno dei “rivoltosi”. La contemporanea azione
anglo-francese contro gli egiziani, la chiusura del Canale di Suez e la
conseguente grave crisi internazionale, fu la causa, almeno apparente,
dell’abbandono, al loro tragico destino, del popolo ungherese.
A distanza di
cinquanta anni, i “capoccioni” rossi nostrani, che allora non presero le
distanze, anzi applaudirono l’intervento sovietico, si sono dimostrati
“pentiti” di quanto successo allora e sono andati in “pellegrinaggio”
a portare corone di fiori e “lacrime di coccodrillo” sui luoghi dello
sterminio del popolo ungherese
A Modena,
come in tutte le città italiane, i giovani di destra non persero
l’occasione per dimostrare la loro rabbia e il loro disgusto verso
l’intervento russo, ma in particolare contro l’appoggio incondizionato dei
comunisti nostrani a tanta barbarie. Sfilate
per la città e bandiere rosse trascinate nella polvere e bruciate davanti
alla sede del Partito Comunista in Via Ganaceto. I “rossi” non muovevano
un dito, nascosti nelle loro “tane” non si vedevano in giro, nemmeno i
rari personaggi che, in quei giorni, presero le distanze dall’interventismo
“togliattiano” e da tutto il suo “entourage”. Raggiunsero la nostra
città alcuni ragazzi ungheresi che riuscirono a fuggire dalla loro Patria,
accolti da alcune organizzazioni modenesi; ebbi modo di conoscerne alcuni; ci
raccontarono episodi di una incredibile efferatezza commessi, non solo dai
“padroni” sovietici, ma dai comunisti ungheresi, che protetti dai carri
armati, stavano riprendendo il potere.
Pochi giorni
dopo quei fatti, dal 24 al 26 Novembre, si svolse a Milano il 5° Congresso
del MSI, che vide l’ultimo forte attacco della “sinistra” alla dirigenza
“moderata”. Vi furono forti tensioni e “scontri” tra le varie fazioni.
Vi sarà un “compromesso dell’ultimo minuto, merito e del cedimento di
Arturo Michelini sulla maggioranza dei punti in discussione e dal ritiro di un
emendamento di Giorgio Almirante sull’alleanza con i monarchici, che porterà
ad una votazione unitaria sulla mozione finale. Vi fu anche l’uscita dal
Partito da parte di alcuni componenti il gruppo rautiano di “Ordine
Nuovo”.
Un grosso
successo politico, per la Segreteria Michelini, fu quello, durante il Governo
di Adone Zoli, per il trasferimento a Predappio, il 30 Agosto 1957, della
salma di Benito Mussolini.
L’inserimento,
nella vita politica nazionale, del MSI raggiunse il suo obbiettivo
contribuendo con i suoi voti all’elezione per la Presidenza della Repubblica
di Giovanni Gronchi e sostenendo, in alcuni casi, i Governi Pella e Segni.
Questa posizione, che allontanò la componente “antisistema” e
l’allontanamento di alcune figure carismatiche, comporterà un costo
elettorale al partito. Difatti alle elezioni politiche del 1958 vi sarà un
lieve calo, avendo ottenuto alla Camera, 1.407.919 voti pari al 4,7% con
l’elezione di 24 Deputati e 1.149.000 voti, pari al 4,4% al Senato con
l’elezione di 8 Senatori, la DC raggiunse il 42,35% e il Pci solamente il
22, 68%.
Al Comune di
Modena il MSI ebbe il 3,18% pari a 2.791 voti. Gli altri partiti: PCI, 40,33%
con 35.355 voti, la DC il 30,58% con voti 26.810; i socialisti PSI ottennero
12.188 voti e il 13,90%; il PLI 3.269 voti e il 3,18%.
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Al termine degli studi superiori, diploma di Geometra ottenuto nella sessione estiva del 1953, quando ancora l’esame di stato terrorizzava tutti i “maturandi” e quando l’ottenere la promozione a Luglio era un’eccezione, (nella mia classe composta da trentacinque alunni, cinque, compreso l’estensore di queste note, furono promossi nella sessione estiva e gli altri mandati ad ottobre o bocciati), mi trovai ad un bivio. Proseguire l’attività professionale relativamente agli studi appena conclusi o continuare?
Quello
che era stato il percorso scolastico di mio fratello, che aveva frequentato
l’Accademia di Educazione Fisica (allora “tout court” La Farnesina), non
conclusa a causa della guerra, mi aveva sempre affascinato, se non
condizionato.
Sarebbero
stati altri tre anni di grandi sacrifici per i miei genitori; sobbarcarsi il
mantenimento agli studi e in più lontano da casa, non era facile.
Fortunatamente si presentava la possibilità di avere (come poi riuscii ad
ottenere) la borsa di studio del Coni, in quanto erano appena stati riaperti i
corsi di studio all’Istituto Superiore di Educazione Fisica, dopo la lunga
sosta causa la guerra e il dopoguerra, essendo stata, l’Accademia Fascista
di Educazione Fisica un’istituzione del regime, la sua epurazione durò a
lungo, solamente nel 1952 venne riaperta e nel contempo si vollero incentivare
i giovani alla professione di insegnante di E. F anche attraverso aiuti
economici ai bisognosi e ai meritevoli.
Si
pensi che la retta mensile, per il vitto e l’alloggio alla Foresteria Sud
del Foro Italico, ammontava a trentamila lire, ma con la borsa di studio più
favorevole, vi era una serie di gradazione, potei soggiornare a Roma con la
cifra di cinquemila lire, che oltre alle mie spese quotidiane, il vestirsi, i
libri, il prezzo del biglietto del treno per i viaggi Modena–Roma andata e
ritorno, era pur sempre, per la mia famiglia un impegno economico gravoso, che
riuscii a mitigare con il lavoro che svolgevo durante i mesi estivi, in qualità
di Geometra presso l’Istituto Autonomo Case Popolari, dove venni assunto,
come si dice oggi, a tempo determinato, per tre anni, come assistente tecnico
ai cantieri edili; gran parte del tempo del mio impegno in quell’Istituto,
venne dedicato alla costruzione delle Case Popolari di Via Bonacini e di
quelle del chiamato allora, “rione Corea”.
Gli amici di mio fratello in particolare Franco Anderlini e
Fernando Ponzoni mi “supportarono” presso i miei genitori, per far sì che
si potesse esaudire questo mio desiderio.
Dopo un severissimo esame di ammissione, 50 ammessi su circa 300 candidati, entrai in quell’agognato Istituto Superiore di Roma assieme ad altri tre colleghi modenesi, due amici di compagnia e di studi, Germano Morandi e Sergio Zanasi e il terzo proveniente dall’Istituto magistrale “Sigonio” e “grande” giocatore di pallavolo, Oddo Federzoni.
Atleti
in Fratellanza anni cinquanta
Durante
gli anni all’Istituto J. Barozzi, continuai, con fasi alterne, a frequentare
la Società Sportiva Fratellanza
sotto la guida di “Pirein” Baraldi. Le mie specialità erano il salto in
lungo e la velocità, 80, 100 e 200 m. con unica eccezione, una gara sui 400m
ad ostacoli a Bologna durante i Campionati di società, dove l’allenatore,
in quanto avevo un buon passaggio sull’ostacolo, in sostituzione del
titolare ammalato, mi fece fare quella “durissima” prova, che terminai
dignitosamente, pur abbattendo gli ultimi due ostacoli, in un tempo,
1’07”, che per un principiante non era del tutto male.
Anche
sulla velocità, pur avendo vinto parecchie gare, quali il Gran Premio Giovani
e altre, mi trovai spesso a competere con altri ragazzi più forti, quali il
potente Giulio Reggianini, in seguito noto avvocato, l’elegante e sciolto
Vittorio Bargellini, poi valente imprenditore, il futuro medico psicologo
Giovanni Pedrazzi, forte ed elegante nella corsa come l’altro
velocista,Tosi.
In
Fratellanza trovai tantissimi amici, alcuni con qualche anno in più, come il
mitico “Carlo Rinaldi” campione italiano di salto con l’asta e nazionale
di pallavolo, (quando, durante gli allenamenti allo Stadio Braglia saltava
lui, tutti si fermavano per seguire le sue splendide evoluzioni
sull’asticella) e in seguito stimatissimo collega nell’insegnamento
dell’Educazione Fisica. Subii anche la sua immane tragedia quando, per un
incidente stradale gli morì il giovanissimo figlio minore, che era mio
allievo, e atleta molto promettente, in una prima classe al Liceo Scientifico
“Tassoni” dove allora insegnavo.
In
Fratellanza, in quegli anni, ebbi altri carissimi amici, allora ottimi se non
grandi personaggi dello sport e in seguito, uomini di punta della vita sociale
modenese.
Ne
cito solamente alcuni, il forte quattrocentista “Jack” Bertolini, i
triplista Nando Romagnoli, il saltatore in alto e campione italiano, il medico
Giulio Magnoni, oltre all’altro potente quattrocentista, Franco Squadrini
poi medico anche lui, scusandomi con tutti gli altri che non ho citato.
Il
mio confronto con tanti forti atleti modenesi, essendo il sottoscritto
relativamente dotato da madre natura, mi ha messo a volte in seria difficoltà
come in occasione dei Campionati Studenteschi del 1951. Ero il favorito per la
vittoria finale nel salto in lungo avendo, in quel periodo raggiunto buoni
risultati complessivi: tali campionati si svolgevano in un pomeriggio di
sabato, nel mese di Maggio, verso la fine dell’anno scolastico, allo Stadio
Braglia con la tribuna coperta strapiena di studenti che tifavano
rumorosamente per i loro coetanei impegnati nelle gare e in particolare quelli
che vedevano impegnati, nella lotta per la supremazia sulle scuole di Modena e
Provincia, il mio Istituto “Barozzi” e il Liceo Tassoni. Per le varie
specialità ogni scuola presentava due atleti, nella mia si fece la selezione
per trovare il secondo per il salto in lungo, dato che il primo era occupato
dal sottoscritto.
La
spuntò un certo Franco Bortolamasi che, al suo primo salto, fece quasi la mia
miglior misura di sempre, (eravamo attorno ai sei metri), aggiudicandosi il
merito di partecipare alla gara. Ma quel giorno mi superò in bellezza, e
arrivai nettamente dietro di lui. Mi misurai con un grande atleta, che
eccelleva in tutte le discipline, e per molti anni fu campione d’Italia di
pallavolo con la squadra della Ciam di Modena, oltre a rivestire numerosissime
volte la maglia della nazionale italiana e in seguito insegnante di Ed. Fisica
e carissimo amico collega.
La
mia volubilità e la mia incostanza fecero molto spesso arrabbiare il Prof.
Agide Magnoni mio insegnante e responsabile del settore atletica della nostra
scuola. In alcune occasioni, sia per le gare sia per gli allenamenti, dovette
venire a casa mia (allora non c’era telefono tantomeno i cellulari) a
“prelevarmi” di forza poiché, o mi dimenticavo dell’impegno, o mi
trovavo a letto completamente “distrutto” per aver passato la serata
precedente a fare le ore piccole o nelle sale da ballo, o in giro per comizi
elettorali oppure a fare l’”attacchino” dei manifesti politici.
Tutte
quelle frenetiche attività non si conciliavano bene con lo sport e nemmeno
con lo studio, ma una volta entrato all’ISEF di Roma, mi tranquillizai per
cercare di fare in modo di uscire da quell’Istituto Universitario, nei
termini previsti dal regolare corso di studi e quantomeno nel modo migliore
per iniziare quella professione, alla quale tenevo moltissimo, e che in
seguito mi diede enormi soddisfazioni.
I
tre anni a Roma passarono, tra l’immersione negli studi e
nell’intensissima attività fisica che svolgevamo nelle palestre e negli
stadi del Foro Italico (ex Foro Mussolini). Tantissimi furono gli episodi, di
un certo rilevo, che sottolinearono la vita in comunione di giovani ventenni,
in una splendida città come Roma e portati a svolgere una sana vita sportiva
oltre che di Studio.
La nostra vita si svolgeva con le attività fisiche tutte le mattine. Tutti i pomeriggi si andava a frequentare le aule universitarie della Facoltà di Medicina dell’Università romana, le nostre materie e i nostri esami, almeno per le materie più importanti (anatomia, fisiologia, costituzionalistica, psicologia, biologia) non variavano da quelle degli studenti di medicina. Alcuni episodi divertenti, che ebbero come protagonisti due dei modenesi frequentanti il Corso B dell’Isef, suscitarono le simpatie dei colleghi e anche degli insegnanti, per la goliardia, seppur provinciale, che ci portammo dalla nostra città.
Era il primo anno, anzi, erano
i primissimi mesi di vita all’Isef. Le giornate trascorrevano tranquille e
monotone: vita di palestra e di università tutti i giorni, alla sera rientro
in Foresteria entro le ore 10. Il custode ”Sig. Felli”, gran brava
persona, non transigeva. Le domeniche, giorno finalmente di libertà,
trascorrevano tra le visite mattutine alle bellezze della città di Roma e i
pomeriggi, a volte, in qualche locale (più o meno “balere) a ballare per
cercare di “rimorchiare”.
Dato che, le “nostre ragazze”, le isefine, ci snobbavano, noi cercavamo qualche “improbabile avventura” con le ragazze romane. Beh, in realtà molti di noi, qualche conquista, l’hanno avuta. Successe che una domenica, il sottoscritto ed il suo “compare” di tanti episodi, Germano Morandi, riuscissero a strappare un incontro con due colleghe, che però, dopo un paio d’ore trascorse a girovagare per Roma, dovettero rientrare al “Tufello” (la località dove erano alloggiate le ragazze dell’Isef) poiché il loro tempo di “libera uscita” stava per scadere.
Erano circa le 19,30, l’ora di cena in foresteria. I due pensarono bene di fare uno strappo alla regola, (le finanze erano sempre scarse) e restarono fuori a cena (era tra l’altro una delle primissime occasioni). Trovarono una tipica trattoria romana dove, senz’altro, cenarono meglio che in foresteria. Arrivò così l’orario del rientro; salirono sull’autobus, il solito 32, per rientrare al foro Italico, quando, passando per Via Nazionale, forse perché avevano bevuto un bicchiere di Frascati in più, lessero un’insegna luminosa che diceva “Night Club Nirvanetta”; uno sguardo rapido, un commento reciproco e alla prima fermata i due scesero e s’incamminarono verso il “luogo della perdizione”; entrarono che non erano ancora scoccate le ore 22. Il locale aveva, ovviamente, appena aperto i battenti, sedute ai tavoli vi erano solamente delle ragazze che, appena ci videro, ad un’ora così insolita per loro, si precipitarono su di noi: incredibile, a quell’ora due clienti!
Frastornati ne scegliemmo due, o ci scelsero loro, ed ebbe così inizio una serata, veramente “indimenticabile”.
Si cominciò con il bere “qualche cosa” e poi, la musica, il sorriso delle ragazze che ci sembravano bellissime, le promesse del “dopo”, il vinello che avevamo bevuto a cena in trattoria, ecc. ci fecero perdere completamente il senso della realtà.
Le ore fuggivano e il tavolo si riempiva sempre più di bevande, si rideva, si scherzava ci solleticavano le proposte allentanti delle ragazze e ciò che sarebbe accaduto alla chiusura del locale; intanto arrivavano altri clienti e verso l’una e mezza, dopo lo “spettacolino” al quale avevano partecipato anche le nostre due ragazze, ordinammo una cenetta per quattro e al termine o durante, una bella bottiglia di champagne. Verso le tre o le quattro le ragazze, così, tra una chiacchera e l’altra, ci chiesero se eravamo sicuri di avere il danaro per pagare tutto quello che avevamo consumato. Rimanemmo perplessi: difatti dopo poco si avvicinò il gestore del locale e ci presentò il conto “Parbleù” e chi aveva tanti soldi in tasca?
Il locale stava per chiudere, il gestore ci chiedeva di saldare il conto, finalmente la situazione si sbloccò, al momento, quando al Morandi venne in mente di aver appena ricevuto da casa un vaglia che avrebbe senz’altro risolto il problema. Era però nella valigia, sopra all’armadietto, nella camerata della Foresteria al Foro.
Il gestore “ascoltò” la
nostra posizione: uno di noi doveva restare come “ostaggio” mentre
l’altro, il sottoscritto, fu accompagnato dalla macchina del Nirvanetta (con
sopra un grosso cartellone pubblicitario) in Foresteria: ma come entrare alle
4,30 del mattino?
Il custode non avrebbe aperto. Gettai allora un sasso o vari sassetti, contro la finestra della mia camerata, finalmente qualcuno si svegliò e con l’aiuto di un lenzuolo salii a prendere il vaglia nella valigia e a ritornare al locale notturno. La cosa ovviamente si regolarizzò; venne pagato il “salatissimo conto” e data l’ora ormai tarda, erano le cinque del mattino, le ragazze andarono a dormire e noi rimanemmo con un palmo di naso.
Si pensò dunque al rientro, mezzi non ce n’erano, per il taxi non avevamo i soldi, avevamo dilapidato tutti i nostri averi, finalmente, verso le sei, riuscimmo a trovare un autobus che ci fece arrivare al Foro. Eravamo appena rientrati dalla finestra che dopo circa dieci minuti suonò la sveglia. E’ chiaro che i due “sprovveduti modenesi” rimasero a letto “marcando visita” accusando malattie incredibili.
Verso le 10 arrivò il medico che s’accorse immediatamente della ragione della “nostra malattia”, come cura ci ordinò un bel bicchiere di “olio di ricino” (e poi si affermava che era somministrato solamente nel ’22 all’epoca della rivoluzione fascista), che dovemmo bere in sua presenza. Tralascio il racconto delle continue corse ai bagni nella giornata che avrebbe dovuto essere di tutto riposo. Il giorno dopo eravamo già in pista. Poi, per circa un mese, dovemmo “tirare la cinghia”, poiché eravamo rimasti senza una lira.
Il Primo esame “non si scorda mai”, potrebbe titolare quest’aneddoto del primo anno di Università. Erano passati alcuni mesi di vita all’Isef romano, con alterne vicissitudini, attraverso lo scorrere delle lezioni pratiche al mattino e quelle teoriche pomeridiane all’Università nella sede romana di Viale Regina Margherita. Durante i mesi di Febbraio, Marzo, si dovevano sostenere gli esami della prima sessione del nostro Corso. Erano in programma esami tosti, quali, Anatomia, Biologia e altri, tra questi anche quello di Italiano e Storia con il Prof. Giorgio Petrocchi. Per il sottoscritto fù il primissimo dei tanti esami, tra teorici e pratici, che avremmo sostenuto durante il corso degli studi.
Bene, arriva il mio turno,
ero uno dei primi, se non il primo in assoluto; è ovvio che vi era un po’
di agitazione, anche se in realtà questo non era tra i più importanti e non
destava eccessiva preoccupazione. Ugualmente avevo cercato di prepararmi al
meglio delle mie possibilità. Entro, con un po’ di tremarella, il Prof. con
un bel sorriso, che segnalava la sua buona disponibilità, mi fa accomodare e,
in modo molto corretto, mi chiede: “lo statino”.
Il sottoscritto, anche per
precedenti esperienze, reputava che l’esaminando per ottenere interesse e
per fare buona impressione all’esaminatore dovesse, se vi fossero state le
possibilità, quasi aggredirlo, con un profluvio di parole, onde mettersi in
condizioni di sicurezza per il prosieguo dell’interrogazione. Premesso
questo, al sentirmi chiedere, “Lo statino” partii come si suol dire “in
quarta” e cominciai a sciorinare una serie di dati e di considerazioni sulla
situazione dei piccoli stati italiani, quali San Marino, Il Vaticano ecc. che
si trovavano in una situazione socio-politica particolare in quel determinato
momento storico. Dovevamo difatti studiare quel periodo del 1800; il Prof. mi
stava guardando sbalordito, io ritenevo fosse rimasto colpito dal mio
“sapere”; mi lasciò andare avanti per un po’, e finalmente decise
d’intervenire interrompendo il mio dire. Mi disse: “Guardi che io le ho
semplicemente chiesto lo statino, cioè il foglietto rilasciato dalla
segreteria per sostenere l’esame”. Rimasi
perplesso e mi ricordai di averlo in mezzo a un libro, un po’ mortificato lo
estrassi e lo consegnai all’esaminatore.
Sistemato il fatto
burocratico l’esame continuò e andò anche bene, mi “beccai”, malgrado
il piccolo incidente iniziale un bel 28. Al termine dell’interrogazione si
fece un po’ di conversazione libera, mi chiese da quale parte d’Italia
provenivo: Modena risposi. Uscii soddisfatto. Ma l’episodio non si ferma a
questo punto.
Subito dopo entra l’amico
di tante avventure scolastiche ed anche “extra” (eravamo sempre assieme già
dai tempi delle scuole superiori) Germano Morandi. Appena entrato, il Prof.
allungò la mano per prendere il “famoso statino” dall’allievo, il quale
pensò bene, vedendo quella mano protesa, ma guarda com’è gentile questo
Prof. gliela prese con la sua e stringendola fortemente, da buon isefino,
disse “piacere Morandi”.
A quel punto il Prof. lo guardò allibito, si ripetè più o meno la scena dell’allievo che aveva preceduto il Morandi e d’istinto gli venne di chiedere: “ma Lei di dov’è”, di Modena disse l’allievo, al chè il Prof. si mise le mani nei capelli dicendo, ma proprio oggi e uno dopo l’altro dovevate capitare voi modenesi! Anche in quella circostanza tutto andò per il meglio. In fondo i “modenesi”, con la loro carica di simpatia, e se vuoi anche di ingenuità, seppero dare, in quel luogo austero, un “tocco” di “estemporaneità” che a quei tempi non era abituale nei classici “templi del sapere”.
Il secondo anno fu istituito
un corso d’equitazione, al quale parteciparono una ventina di allievi. Le
lezioni si tenevano tutti i giovedì pomeriggio, (giorno di non frequenza
all’Università) a Tor di Quinto, località ad alcuni chilometri da Roma, al
maneggio militare. Ordinaria amministrazione verrebbe da dire, ma l’episodio
del primo approccio con i cavalli necessita un breve ricordo.
Il giorno del “battesimo”
della sella, gli istruttori, tra i quali i notissimi Col. Oppes e Tenente D’Inzeo,
dopo averci illustrato, a terra, le caratteristiche del Cavallo, del come
stare in sella, dei finimenti, insomma tutte le informazioni necessarie,
fecero entrare, guidati dai soldati addetti, i cavalli nel recinto.
Ciascuno di noi si avvicinò
al quadrupede che gli era stato aggiudicato, altre informazioni, poi, tutti in
sella. Sempre con il “soldatino” che teneva il cavallo per il morso,
cominciammo a girare nel maneggio. L’istruttore al centro continuava nelle
sue istruzioni; dopo cinque-sei giri, ordinò agli addetti di uscire dal
recinto; rimanemmo soli in sella ai nostri splendidi animali continuando i
giri, per trovare la giusta postura, per sentire bene le redini, accarezzando
il collo del cavallo per far sentire la nostra presenza amichevole quando,
improvvisamente, un cavallo diede o un morso, o una forte testata, a quello
che lo precedeva, che partì subito in un galoppo sfrenato, seguito da tutti
gli altri.
Iniziò così il “rodeo”; nessuno di noi, ovviamente, sapeva come fermare un cavallo scatenato, chi fu scaraventato per l’arresto improvviso dell’animale di là dalla palizzata, chi cadde rovinosamente per gli improvvisi scarti, chi come il sottoscritto scivolò gradualmente sui fianchi e quasi sotto l’addome, per finire rotolando per le terre. Vista da fuori, come ci dissero i comandanti e gli istruttori, che assistevano alla nostra prima lezione, fu veramente una scena comica alla “Ridolini”. Fortunatamente andò bene, eravamo tutti ben preparati e nessuno si fece male. Le lezioni continuarono e tutti partecipanti a quel corso, iniziato in modo così disastroso, furono soddisfatti al termine per il traguardo raggiunto, sapevamo andare a cavallo.
Un altro momento molto importante fu quello delle Olimpiadi di Cortina del 1956. Un gruppo di noi isefini del Corso B fu scelto per collaborare all’organizzazione di quell’evento. Partimmo da Roma quindici giorni prima dell’inizio dell’Olimpiade per prepararci ai nostri compiti. L’inaugurazione avvenne allo Stadio del Ghiaccio il 26 Gennaio, ebbi l’onore, assieme ad un gruppo di colleghi, di sfilare durante la Cerimonia d’apertura dei giochi, portando la bandiera del Comitato Olimpico Internazionale. Collaborai, per tutto il periodo, con l’Ufficio Stampa che aveva sede presso l’Hotel Savoia nel centro di Cortina recandomi, quotidianamente sui vari campi di gara, dalle gare di sci alpino a quelle del fondo, dal salto dal trampolino a Zuel, alle partite di hockey su ghiaccio, allo stadio olimpico. Al termine dei Giochi, rimanemmo a Cortina per altri quindici giorni, per partecipare ad un corso di sci. Fu quello il mio primo vero contatto con la neve, che negli anni successivi ebbe tanta parte della mia attività professionale.
Ritornato a Modena al mio
primo anno d’insegnamento mi dedicai con grande passione a due sport che
all’Isef non erano stati trattati: Judo e Tennis. L’arte marziale
giapponese andai ad iniziarla, sotto la guida del Maestro Stefano Scantamburlo,
alla palestra dell’ex Gil ancora perfettamente funzionante. Mi dedicai con
molto impegno a quella disciplina perché il Maestro aveva notato in me una
buona disposizione oltre a buone doti per quello sport, avrebbe voluto
portarmi a raggiungere, nei tempi possibilmente più brevi, il traguardo della
“cintura nera” per passare subito dopo all’insegnamento. Molte ore, ogni
giorno, erano dedicate a quegli allenamenti, ero già vicino al traguardo
quando morì mio padre, dovetti, per forza di cose, tralasciare alcune delle
attività intraprese, judo compreso, per ricercare motivazioni economiche
soddisfacenti. Di quel periodo ricordo alcuni amici del “tatami”,
inizialmente, Salvaterra, Ivan Vaccari e Franco Belletti in seguito, il Prof.
Emilio Tosatti e Franco Zanasi.
Durante il periodo estivo
(allora non esistevano campi coperti), assieme all’amico e collega Germano
Morandi, ci dedicammo all’altro sport. Il Circolo del Tennis di Viale Monte
Kosica, l’unico a quei tempi a Modena, era un Club esclusivo, non era facile
entrarvi, se non facevi parte di una certa “elite” modenese; con l’aiuto
di alcuni amici, in particolare del Prof. Orazio Coggi, Maestro di Tennis in
quel circolo, riuscimmo ad iscriverci. Iniziò così un’attività frenetica
per cercare, in tempi brevi, di acquisire una discreta tecnica che ci potesse
permettere di affrontare corsi qualificati per proseguire in un’eventuale
carriera professionale. Purtroppo, causa le ragioni per le quali avevo dovuto
abbandonare lo Judo, interruppi quella disciplina che ripresi, a distanza di
parecchi anni, con un certo interesse, ma senza le motivazioni iniziali.
Di un altro aneddoto che inquadra la situazione della società italiana di quei tempi, devo darne testimonianza. Un amico di quegli anni tentò, l’anno dopo il mio ingresso all’Isef, di entrare in quell’Istituto. Non passò l’esame e, purtroppo toccò a me dargli quella notizia non gradita.
Passarono alcuni anni,
transitavo un giorno in “Vespa”, lungo Corso Canalgrande quando sento
alcuni colpi di clacson dietro di me, mi giro, vedo una gran Maserati con il
braccio del guidatore che mi faceva cenno di fermarmi. Era l’amico
dell’esame, il noto industriale Giancarlo Lei; saluti, convenevoli poi lui
sbotta: “Tè ve te bein fortunè, che te fat l’Isef” in dialetto
modenese, “tu sei ben fortunato che hai fatto l’Isef”. Rimasi perplesso
per questa sua battuta e risposi: ”vè, Giancarlo ma vot torem per al cul o
dit daboun, tè cun na gran Maserati e mè in Vespa, c’a dev ancara finir ed
pagher” (Giancarlo mi vuoi prendere per i fondelli o dici sul serio, tu con
una gran Maserati e io con una Vespa che devo ancora finire di pagare).
Difatti, la sua non entrata alla “Farnesina” fu in realtà la sua fortuna
dato che, con la “Glem Gas” aveva iniziato la sua carriera di industriale
delle cucine creandosi una bella fortuna. Fui in seguito grato a Giancarlo, il
quale, avendo la passione dei cavalli, ne teneva uno nei box allora in Piazza
d’armi (ex ippodromo), mi permise di proseguire per un certo tempo
l’esperienza fatta a Roma anni prima.
Le attività sportive non frequentate durante gli studi a Roma mi interessavano sempre di più. Venni a conoscenza che un collega di Pesaro, Washington Patrignani, avrebbe tenuto in quella località, un corso d’iniziazione alla vela. Mi iscrissi subito e presi così contatto con questa affascinante disciplina, che portai avanti per parecchi anni, si iniziò a parlare di “mure a dritta”, di “spinnaker”, di “strambate”, di “poppa di prua” e così via, con tutta la terminologia marinara, appresa su quelle piccole, ma estremamente versatili barche, che sono i “Flyng Junior”.
Ne fui entusiasta. L’anno
successivo, assieme ad un collega di Forlì, organizzammo un corso di Vela
all’Isola di Lussino in Dalmazia. Furono quindici giorni entusiasmanti;
avevamo come capo istruttore, al corso partecipavamo, come allievi, anche noi
organizzatori, un certo Giano di Trieste. Espertissimo, con alle spalle anche
la famosa scuola dei “Glenans” francese, si rivelò, oltre che ottimo
maestro, velista impareggiabile. La scuola la tenevamo su di una vecchia
“stella”, barca velocissima di 9 metri con un albero di dodici, la
“star”una delle classi olimpiche più belle e impegnative, appoggiati da
un “Gozzo” che ci serviva come base. Il marinaio triestino riusciva a
portarla con una facilità e una destrezza tali da far impallidire, oggi, il
più esperto timoniere di “Luna Rossa”. Non posso trascurare, di quei
giorni a Lussino, un fatto significativo della situazione politica in quel
paese. Imperava in Yugoslavia il comunismo di Tito.
Il secondo Istruttore della
nostra “equipe”, era un ragazzo indigeno di Lussinpiccolo, anche lui
esperto velista. Non per niente eravamo nella terra delle medaglie olimpiche
Straulino e Rode. Per alcuni giorni, con quel ragazzo che parlava solamente
yugoslavo, non era facile intendersi; un bel giorno, in alto mare,
lontanissimi dalla costa, uscì con una perfetta frase in italiano seppure con
la classica cadenza veneto-dalmata che ci lasciò “basiti”. “Ma come,
allora tu…..! “Mi raccomando
ragazzi” ci disse in tono implorante, “quando torniamo a terra e anche nei
prossimi giorni, non rivolgetemi la parola in italiano, fate in modo che non
possa essere scoperto, perché, se qui si accorgono che parlo e sono
d’origini italiane, vado incontro a guai, molto ma molto seri!”
Vi fu, nell’organizzazione delle mie vacanze un altro corso di vela, nuoto e tennis a Cesenatico all’inizio degli anni ’60, che vide la partecipazione, tra gli altri, di due ragazzi provenienti dalla Sardegna. “Ma come, voi, con il vostro mare e le vostre coste venite in Adriatico?” Chiedemmo loro. A qui tempi in Sardegna non vi era ancora niente d’ organizzato, anche se, in seguito, fu istituita all’arcipelago della Maddalena e precisamente all’Isola di Caprera, una delle più importanti scuole di vela europee.
La possibilità di praticare
questo sport mi venne data anni dopo quando l’amico fraterno, con qualche
mezzo a disposizione superiore al mio, il Dott. Luciano Della Casa acquistò,
a Cesenatico, un “catamarano”. Ecco che vi fu nuovamente la possibilità
di andar per mare, seppure sulla costa Adriatica e in seguito anche sul Lago
d’Iseo dove l’amico tenne la barca per un certo periodo. Un giorno abbiamo
corso un’avventura che avrebbe potuto avere conseguenze ben più gravi. Ci
si telefonava al mattino, se era una bella giornata e se si riusciva a trovare
spazio dallo svolgimento del nostro lavoro, si partiva immediatamente per
arrivare celermente al rimessaggio della barca a Cesenatico, portarla in acqua
e….via, con il favore del vento a godere della bellezza e del fascino
dell’andar per mare a vela.
Che cosa successe quel giorno? Il vento tesissimo, il mare più che increspato, una splendida giornata di sole; il catamarano filava che era un piacere, le nostre manovre al “trapezio” si succedevano alle “strambate”, eravamo al largo e la costa una linea lontana. Tutto procedeva regolarmente, all’improvviso ci trovammo scaraventati da poppa, al centro della barca, abbracciati all’albero. La barca si era “letteralmente” piantata e si era messa in verticale rispetto alla linea d’acqua. Cos’era avvenuto? Il catamarano ha due scafi: nella parte posteriore di ciascuno di questi vi erano due fori, chiusi da tappi. Il fatto lo imparammo una volta ritornati a terra, dopo alcune ore; nel cantiere dove l’amico teneva la barca, vedendo che da alcuni giorni “al dutour” non la usava, pensarono, avendone necessità, di togliere i due tappi, “tanto poi li rimettiamo al loro posto”: noi arrivammo quel giorno, con la frenesia dell’uscita in mare, prelevammo la barca velocemente senza controllare, non ve ne era mai stato bisogno, se tutto era a posto. Al largo, fatte alcune miglia, l’acqua entrò nei due scafi che si riempirono a prua tanto da farci fare quella repentina impennata. Lascio a voi pensare cosa fu detto a coloro che dovevano tenere ben controllata e custodita, la barca.
Aereo
Club e brevetto di pilota
Alcuni anni dopo mi prese
anche la passione per il volo, cosa che avevo già “addosso” da tempo. Ai
primi anni ’50 avevo preso parte ad un corso di paracadutismo tenuto
dall’appassionato ed esperto di quello sport, il modenese Mazzacurati, alla
palestra dell’ex Gil. Il primo lancio lo effettuammo all’aeroporto di
Bologna, in un pomeriggio settembrino che ci diede la soddisfazione di
assaporare tutta l’ebbrezza e l’emozione di volteggiare nell’aria. A
bordo di un vecchio, e traballante “Savoia Marchetti” salì il gruppetto
di paracadutisti modenesi che, dopo circa un’ora di volo sul cielo di
Bologna per trovare il momento e la posizione giusti per uscire dall’aereo,
si gettarono, uno dietro l’altro, nel vuoto, per toccare terra dopo pochi
minuti. Entusiasmante! Arrivato a casa, parlai dell’esperienza avuta a mia
madre dicendole: “Sai mamma, oggi sono andato in aeroplano”. “Cosa hai
fatto?” e giù una serie di considerazioni sulla mia leggerezza ecc.ecc.
Quando le ho detto: “Ma non sono atterrato con l’aereo, sono sceso con il
paracadute”, per poco, non sviene.
All’aero Club ebbi come
istruttore, per l’acquisizione del brevetto di primo grado, uno dei
“grandi” dell’aviazione modenese, il maresciallo Danilo Billi, pilota
anche di aerei da caccia nel secondo conflitto mondiale. Feci anche parecchi
voli assieme all’amico pilota Franco Mazzi, titolare del negozio
“Pirelli” nelle vicinanze del Duomo, uno dei più esperti piloti
dell’Aereo Club modenese, scomparso anni addietro in un incidente di volo:
Franco mi fece assaporare quelle evoluzioni che io non sarei mai riuscito a
fare, “looping, tonneau”, poiché dovetti rinunciare a quella passione:
avevo già famiglia e un figlio, arrivavano a casa conti salati, per le mie
tasche, dall’aereo Club per le ore di volo effettuate; non era più
possibile frequentarlo.
Ebbi la soddisfazione, relativa se si vuole, di tenere in mano per circa un ora i comandi di un aereo di linea, un “Boeing 707”. Successe durante un volo a New York, con un gruppo di amici e allievi da me organizzato: feci amicizia con il pilota di quell’aereo che, imparato che stavo facendo la scuola per il brevetto di pilota, mi ospitò in cabina di pilotaggio, facendomi accomodare sulla poltrona del secondo pilota, lasciandomi, ovviamente a 10.000 metri d’altezza e con pilota automatico inserito, i comandi di quell’enorme bestione. Era un napoletano simpaticissimo che, mi diceva, quando voleva veramente divertirsi con il volo, andava all’aereoclub della sua città a pilotare uno di quei piccoli aerei sui quali, anch’io, stavo apprendendo i segreti del volo.
Nei primi anni ’60,
esattamente nel 1962, mi si offerse la possibilità di ritornare a Roma, città
che è sempre rimasta nel mio cuore. La Federazione Italiana Scherma, in
collaborazione con il Coni e il Ministero della Pubblica Istruzione, con
l’intenzione di sviluppare, sia scolasticamente sia per la componente
agonistica nelle società sportive, la conoscenza di questa disciplina che
tante soddisfazioni ha dato, con medaglie olimpiche, mondiali ed europee, allo
sport italiano, lanciò un corso residenziale per Maestri di Scherma in favore
di un gruppo di Insegnanti di Educazione Fisica già inseriti nel mondo della
scuola.
L’offerta era abbastanza vantaggiosa, a casa correva lo stipendio regolare e, a Roma era corrisposta una cifra equivalente per il sostentamento fuori casa. La situazione personale di quel periodo era abbastanza “ingarbugliata”. Mia madre stava ancora bene e non avevo problemi a lasciarla sola a Modena; colsi la “palla al balzo” e approffitai della possibilità offertami per ritornare nella Capitale a “lavorare” in modo piacevole, in una situazione economica abbastanza favorevole, dando nello stesso tempo la possibilità ad uno o più colleghi giovani, di fare una serie di lunghe “supplenze”, poiché restai a Roma, in pratica per tutto l’anno scolastico 1962-63. Eravamo 20 insegnanti di E.F. provenienti da ogni parte d’Italia, alloggiati nelle foresterie dell’impianto sportivo dell’Acqua Acetosa, praticamente un ritorno ai vecchi tempi della Foresteria al Foro Italico. La zona era, come penso la sia ancora, molto bella, da poco tempo era stato inaugurato quel complesso in previsione delle Olimpiadi del 1964 e, con noi vi erano frequentemente i raduni dei P.O. (probabili olimpici) di molti sport.
Non ero più un
“giovincello”, andavo verso i “trenta” ero a Roma con la mia macchina,
da poco acquistata, una “Ford Capri” abbastanza appariscente, un coupè
americaneggiante, di conseguenza la vita in comunità mi andava un po’
stretta. Gli impianti dell’Acqua Acetosa chiudevano i battenti di sera,
verso le 22,30, massimo le 23, ed erano “sguinzagliati” una decina di cani
“doberman”, particolarmente addestrati per la guardia, che scorazzavano
all’interno della struttura in quanto, qualche tempo prima vi erano state
delle intrusioni dall’esterno, di malintenzionati. Una notte ritornai in
ritardo, il custode al cancello aprì ugualmente, dato che mi conosceva, con
l’auto potevo arrivare vicinissimo all’ingresso della mia camerata, dove
eravamo alloggiati in cinque. Parcheggiata la macchina, un attimo, prima di
scendere, mi vidi circondato da sei o sette di quelle “simpatiche
bestiole”, ringhianti e ben poco disponibili nei miei riguardi. Ovviamente
restai dentro l’abitacolo a lungo, fintanto che un guardiano addetto a
quelle bestie, facendo il suo giro d’ispezione e di controllo mi trovò in
quella situazione, assediato dai suoi bravi doberman. Li condusse nei loro box
così potei, finalmente, andarmene a riposare. Tempo dopo ci fu la notizia
che, in alcune occasioni si verificarono, colpa di quei cani da guardia,
episodi cruenti con feriti gravi e mi par di ricordare anche un caso di morte,
penso, che dopo quei fatti le guardie canine siano state eliminate.
Quell’episodio mi convinse
che non era più il caso di restare in quell’impianto, malgrado qualche
difficoltà con i dirigenti del Coni e del M.P.I. che non volevano, in un
primo tempo, versare lo stipendio a un esterno, mi trovai una bella stanza con
pensione, nelle vicinanze di Piazza Ungheria da dove poi, tutte le mattine mi
recavo alla sala scherma per acquisire le tecniche schermistiche.
Ritornato a Modena da allora non toccai più un “fioretto” o una spada perché, come detto per altre situazioni analoghe, ancora si doveva fare, in certi sport, del “volontariato” cosa che per me non era possibile, la mia professione era quella e desideravo che ci fosse un corrispettivo alle mie prestazioni. Ripresi in mano l’arma occasionalmente, dopo tantissimi anni, con l’amico della sezione Scherma della Società Panaro di Modena, Vittorio Cucchiara, ma non ricordavo assolutamente, o quasi, nulla.
All’inizio degli anni 90
fui nominato Delegato Provinciale della Federazione Italiana Canottaggio, in
ricordo del Prof. Rubens Pedrazzi con il quale durante gli anni giovanili
provai quella spendida disciplina sulle acque, ancora praticabili del fiume
Secchia, e per cercare di dare impulso a questo sport, praticato dalla
gloriosa Società “Canottieri Mutina”, accettai l’incarico quando mi
venne proposto, dall’allora presidente, l’amico Ing. Turno Sbrozzi.
La FIC, in quegli anni, si
era separata in due: la canoa e il Kajak, costituirono una loro Federazione, e
il canottaggio rimase sotto la sigla originaria. A Modena, ai laghetti di
Campogalliano si pratica, e con grande successo, per merito principalmente del
Prof. Riccardo Pedrazzi, di Gianni Anderlini e di Livno Bettelli, la canoa e
il kajak, con l’ottenimento di risultati eccellenti a tutti i livelli e ne
fanno fede le presenze olimpioniche di, Andrea Covi e di Josefa Idem.
La scuola modenese ha portato
tanti atleti a livello di eccellenza a dimostrazione di una impostazione e di
una preparazione atletica di grande rispetto: i laghetti si prestano bene per
l’attività canoistica, malgrado le precarie condizioni degli spogliatoi
della Sede e del rimessaggio barche, per il canottaggio il discorso cambia
completamente, dato che le barche del remo (il canottaggio) contrariamente a
quelle della pagaia (canoa), non hanno la possibilità di manovrare al meglio.
Da oltre venticinque anni,
l’Amministrazione Provinciale, aveva programmato, con tanto di stanziamenti
pubblici la costruzione di un bacino d canottaggio ai laghetti. Era stato più
che pubblicizzato dalla stampa, tante riunioni si sono tenute in Provincia,
sul posto insistono ancora i cartelli che prevedono la costruzione del bacino
(lunghezza due chilometri, non è il campetto da tennis o da pallavolo),
ancora ad oggi, 2007, non si riescono a fare passi avanti. A chi addossare la
responsabilità ai Comuni di Campogalliano o di Rubiera? All’Amministrazione
Provinciale? Al Coni? Alle strutture commerciali che insistono su quel
territorio? La matassa non si riesce a dipanare. Alcuni anni or sono scrissi
un articolo che sottolineava lo stato di quella mancata realizzazione, che
tanti vantaggi porterebbe non solo alla zona, ma a tutto il territorio
modenese, e che qui vorrei proporre.
REMO CONTRO
DEGRADO
I molti modenesi che hanno frequentato i laghetti
di Campogalliano in cerca di pace e di tranquillità per andare a
pescare o alla ricerca del fresco durante i mesi estivi avranno senz'altro
notato i due
grandi cartelloni installati dalla Provincia e che
pubblicizzano la costruzione nel Parco Fluviale di un bacino di canottaggio.
Quei cartelli sono sul posto da una quindicina d'anni, e della costruzione del
bacino se ne parlava anche dieci anni prima di quella data. E' trascorso
dunque un quarto di secolo ma di quei progetti, che in realtà avevano avuto
un inizio, non se se ne è mai più parlato e tanto meno oggi non si riesce a
sapere dove e come siano stati spesi gli stanziamenti e se vi è ancora
la volontà di proseguire.
L'importo devoluto per il primo stralcio dei lavori
comportava una cifra di L. 1.017.436.500. Le imprese che dovevano e
che in parte hanno svolto lavori erano : SISTEMA - INCAM e ACEA costruzioni;il
progetto dell studio CUPPINI e Associati di Bologna e lo Studio Tecnico dell'Ing.
Bambini e Ing. Lusvarghi di Campogalliano.
All'inizio degli anni novanta numerose
riunioni si sono tenute nella sede della Provincia di Modena con la presenza
di assessori, esperti, progettisti, rappresentanti di Federazioni Sportive e
sembrava che il progetto prendesse veramente consistenza poi tutto si è
fermato.
L'attività sportiva che attualmente si svolge ai
laghetti è quella della canoa
che tra l'altro ha dato tantissime soddisfazioni allo sport modenese dato che
gli atleti allenati dal Prof. Riccardo Pedrazzi e condotti dal Presidente
della Canottieri
Mutina Livno Bettelli hanno raggiunto prestigiosi traguardi anche a
livello nazionale. Ma a costo di tantissimi sacrifici: Avete mai visto i
piccoli locali dove sono accatastate le canoe e un solo skiff per il
canottaggio? oppure i locali dove gli atleti si spogliano o dove fanno
allenamento con i pesi?
Non è possibile che negli anni duemila, con sport
ricchissimi e stramiliardari, altri sport, quali quelli della canoa e del
canottaggio per i quali la stampa si entusiasma solo quando vincono medaglie
d'oro alle olimpiadi o ai mondiali, debbano arrancare per avere il minimo
indispensabile per cercare di far gareggiare i loro atleti e non sempre ci
riescono. Ai laghetti di canoa se ne è fatta e se ne stà facendo tanta;
ma per il canottaggio niente. Le lunghe barche dei canottieri non hanno
lo possibilità di manovrare negli spazi ristretti dove invece la canoa
si muove con disinvoltura.
Di conseguenza da decenni, dopo che nel fiume
Secchia dove vi era la sede della Canottieri Mutina sino agli anni '50, la
scuola modenese del remo che negli anni anteguerra era vivacissima non ha più
avuto alcuna possibilità di esprimere quei talenti sportivi che la nostra
terra produce da sempre.
Non è poi da sottovalutare la situazione aria,
acqua, territorio, ambiente. Sono elementi che la natura ci offre per vivere,
ma che l'uomo d'oggi, malgrado le tante chiacchere, tende a trascurare se non
a distruggere. Si assiste sempre di più al degrado
ed allo scempio di questi elementi pur facendo enunciazione continua di
principio nei confronti della salvaguardia degli stessi e si promulgano leggi
che molto spesso sono in contrasto con i principi dichiarati. Non vi è mai
stata nella storia nessuna civiltà come la nostra che ha prelevato tanto
dall'ambiente rendendolo sempre più povero. Si commettono gravissimi atti
d’inquinamento che turbano sempre più l'equilibrio biologico.
Il mondo dello sport ha sempre dato molta importanza
alle tematiche ambientalistiche nel momento in cui il delicato
equilibrio ecologico rischia di essere seriamente compromesso da
modelli di sviluppo spesso inadeguati, e sopratutto nel concepire l'attività
sportiva non solo come pura espressione agonistica ma fondamentalmente come
mezzo di formazione educativo-culturale.
Lo sport del remo pertanto tra le varie attività
sportive , più di ogni altra, vive e fà sua la natura e introduce un
discorso pedagogico che non passa attraverso elucubrazioni sofisticate in
dibattiti e discussioni, ma attraverso la pratica, la presenza, l'esempio che
deriva dall'attività giornaliera sugli specchi d'acqua siano essi lacustri,
fluviali o marini si pone come assoluto protagonista di un tal modo di
concepire la vita.
Il Canottaggio si pone pertanto all'attenzione di
chi ama natura , sport, vita sana e all'aria aperta come promotore di una
cultura nuova che proviene da un confronto che ha suscitato due percezioni
ormai consolidate: che l'ambiente è una realtà viva ,fragile, complessa e
che l'azione dell'uomo proprio perchè consapevole e dunque responsabile, è
essenziale per il il recupero e la conservazione, oltre che del patrimonio
culturale, anche di quello naturale.
L'area naturalistica di Campogalliano dove insiste
una flora ed una fauna di notevole interesse è sconvolta al momento attuale
da un’irrazionale situazione. A fronte dei
cartelli, anche numerosi, dove si consiglia di tutelare l'ambiente,
si invitano i cittadini a comportarsi in modo adeguato per la difesa della
natura in tutti i suoi aspetti, si lascia che sulla strada che
attraversa i laghetti, dove vi sono pure ai bordi questa due
maneggi dove si esercitano bambini e non, passino in continuazione
ed anche a velocità sostenuta enormi
autocarri adibiti al trasporto di ghiaia e quant'altro sollevando
enormi polveroni alla faccia di chi và alla ricerca dell'aria pulita e della
tranquillità.
E' assurdo che,in un’area di riequlibrio
ecologico,continuino ad insistervi sopra varie attività
di tipo industriale,e che nello stesso tempo nelle varie
pubblicazioni o nei siti internet dei vari comuni del comprensorio e della
Provincia si continui a reclamizzare l'area naturalistica. Altro discorso
bisognerebbe fare sul degrado
degli edifici che sorgono nelle adiacenze dei laghetti alcuni dei
quali riportano ancora la cartellonistica relativa agli scopi ai quali erano
destinati
Prof. Bruno Zucchini - Delegato Provinciale
Federazione Italiana Canottaggio
Così
scriveva la rivista della Provincia di Modena, 20 anni or sono e cioè nella
primavera del 1988, relativamente alla sistemazione della riserva
naturale della Cassa di Espansione del fiume Secchia nella zona dei laghetti
di Campogalliano.
Campogalliano:
presto bacino di canottaggio e piscina di nuoto
Sono
stati approvati con il voto favorevole di tutti i gruppi nella seduta dell'11
Maggio del Consiglio Provinciale, i due progetti di massima riguardanti il
bacino di canottaggio e la piscina coperta per sport acquatici che
verranno allestititi nella zona di Campogalliano nell'ambito degli interventi
previsti per la realizzazione del Parco Fluviale del Secchia.
Il
primo progetto presentato dall'assessore allo sport Patrizia Guidetti, prevede
la costruzione di un bacino con relativo campo di regata all'interno del Parco
con uno specchio d'acqua complessivo di circa due chilometri.
L'impianto
sportivo nel complesso costituirà un centro agonistico per gare di
canoa e canottaggio assolutamente unico in Italia, dove impianti attrezzati si
hanno solo a Roma e Milano, e di sicura caratura europea. Intale senso
le Federazioni Nazionali di sport acquatici hanno espresso giudizi lusinghieri
a favore del progetto che consentirebbe alla zona del bacino di
proiettarsi nel grande scenario continentale di gare agonistiche.
Come
corollario importante dell'impianto, verrà costruita in prossimità del
bacino presso il centro polivalente di sport acquatici di Campogalliano una
piscina coperta per nuoto e pallanuoto.
Il
complesso, oltre a consentire la pratica delle diverse discipline ,
rappresenterà l'indispensabile appendice del campo di regata permettendo
l'allenamento degli atleti anche durante la stagione invernale.
Promesse non mantenute!
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