Emme Rossa |
Modena ieri
10 Giugno 1940 - Dichiarazione di Guerra
Immagini di giovani modenesi primi anni quaranta
Teatro Storchi | L'angolo in centro storico | ||
La "Rosina" l'edicola del centro storico | Nel Parco cittadino | ||
Incontro di Pallavolo | Rancio con i soldati | ||
Fronte russo | Distribuzione del rancio |
Modena: Ospedale militare San Geminiano -Donne al lavoro
clicca sull'immagine per ingrandire
Il Monte Kosica – Ara di gloria dei Legionari
Modenesi La storia delle Camicie nere modenesi nell’epica
battaglia sulle impervie montagne albanesi del Monte Kosica e del
Kalase di
Bruno Zucchini
Sicuramente non sono
molti i modenesi che conoscono l’origine della denominazione di uno
dei più noti Viali della città: viale Monte Kosica. Nell’immediato
dopoguerra e negli anni successivi in tutta Italia e a Modena in
particolare, avvenne l’epurazione di tutta la toponomastica stradale
che faceva riferimento a personaggi e a luoghi del periodo fascista.
Furono pure eliminate sculture, edifici immagini in una furia
iconoclasta che a Modena ebbe il suo vertice nella totale demolizione
di uno degli edifici più belli del puro stile novecento, il palazzo
dell’ex GIL. A fronte di questo
comportamento, resta incomprensibile come sia rimasta integra la targa
di “Viale Monte Kosica - Ara di gloria dei legionari modenesi”
come ancora oggi troviamo scritto. In queste pagine vogliamo
ricordare, in modo succinto il sacrificio di quelle centinaia di
Camicie Nere modenesi che si coprirono di gloria sul confine
greco-albanese. Erano trascorsi
pochi mesi dall’entrata in guerra dell’Italia quando il 28 Ottobre
1940, mentre a Firenze Mussolini riceve Hitler e gli comunica
improvvisamente quella che doveva essere una grande notizia,
l’invasione italiana della Grecia, inizia una delle più discusse
campagne di guerra che rimarrà memorabile nella storia italiana per
l’inefficienza, pressappochismo, impreparazione e miopia strategica
dello Stato maggior italiano. L’illusione di una guerra lampo si
esaurì in pochi giorni. Due Corpi d’Armata che dovevano entrare
velocemente in Grecia dall’Albania in breve si impantanarono
letteralmente. La famosa frase di Mussolini “spezzeremo le reni alla
Grecia” si rivelò quantomeno inopportuna poiché immediatamente,
dopo il nostro attacco, i greci riuscirono a bloccare l’iniziativa
italiana e a contrattaccare e costringendo le nostre truppe a
bloccarsi sul fronte greco albanese, in un durissimo inverno. Su
questo terreno ostile e impervio i nostri soldati, malgrado le
amarezze e lo scadente supporto di mezzi e di materiali, oltre alle
risse tra gli alti Comandi, scrissero pagine d’eccezionale valore in
quei tremendi mesi dell’inverno 1940-1941. La composizione del
Corpo dell’Esercito comprendeva due Corpi d’Armata il XXV e il
XXVI forte di 12 Reggimenti di Fanteria, un Reggimento di Granatieri, uno di
Bersaglieri, due Reggimenti Alpini, due Reggimenti di carri armati,
cinque Battaglioni di Camicie Nere, tre battaglioni di Carabinieri,
quaranta gruppi di artiglieria e cinque compagnie del Genio, per un
totale di 105 mila uomini, 163 carri armati e 680 cannoni. Tra i battaglioni di
Camicie Nere era presente anche un Battaglione di Modena che faceva
parte della 72° Legione Farini ed era composto da 18 Ufficiali, 32
sottufficiali e 460 CC.NN. Assieme al battaglione modenese era
aggregato il CXI
battaglione CC.NN. di Pesaro.
Il Console Antonio
Petti Comandante della 72° legione CC.NN. Farini Il 1° Seniore
Antonio Petti comandava il battaglione dei nostri concittadini che nel
suo gagliardetto, ricamato e consegnato ai legionari dalle donne
fasciste modenesi, portava la scritta “Viva la morte”. Il giorno 7 Dicembre
1940, “i Falchi”, così era chiamato il Battaglione delle Camicie
Nere, si imbarcano
da Bari sulla motonave “Giuseppe Verdi” e il giorno successivo
sbarcano nel porto di Durazzo in Albania. Andranno a schierarsi sul
fronte Est albanese tra il Monte Kosica e il Lago Okrida giungendo,
attraverso mulattiere piene di fango e dopo sforzi sovrumani, sulla
linea del fronte nelle vicinanze di Dunica. In questa zona rimarranno
per alcuni mesi, in una durissima guerra di posizione. Il periodo
prenatalizio e sino ai primi giorni di Gennaio è dedicato alle
ricognizioni tattiche, alla sistemazione delle tende e degli
accantonamenti alle varie quote in Val Dunica dove avverrà il
“battesimo del fuoco” dei legionari modenesi. A metà Gennaio si
aggiungono ai reparti già schierati altre camicie nere, in
particolare i plotoni di salmerie con i fidati muli che si riveleranno
i migliori mezzi di trasporto su quelle impervie montagne. Assieme a
loro è presente il C.M. Nino Saverio Basaglia, giornalista,
sindacalista e scrittore.
Dal suo diario abbiamo appreso le tante notizie dei fatti e
degli uomini modenesi che hanno affrontato quel periodo di guerra
eroica e drammatica. Molti uomini si
dovettero improvvisare mulattieri, uomini del plotone comando che
erano partiti con diversi compiti si resero disponibili a svolgere il
servizio pesante e gravoso di accudire i muli e con loro fare miracoli
per compiere il trasporto dalla base alle linee. Vogliamo citare
alcuni modenesi che si dedicarono a quelle operazioni: i due operai
della Manifattura Tabacchi di Modena, Rinaldi Amos e Sighinolfi Ivo,
il tramviere Frateschi Giuseppe di Modena, l’impiegato Mazzuccato
Luigi, il meccanico Pistoni Agostino, l’edile Capellini Terzo, il
metallurgico Forti Alberto tutti di Modena.
La
cartina della zona del Mote Kosica redatta dalla CC.NN. Avv. Giorgio
Malavasi Mano a mano che i
vari reparti della 72° Legione Farini vanno a posizionarsi sulle
quote a loro destinate, hanno la possibilità di valutare e di
giudicare la vita di quelle popolazioni e fare valutazioni come quelle
del giornalista citato che visitando la cittadina di Kavaja
scrive”……Osservo qundi
le condizioni miserabili in cui l’urbanistica di re Zog ha lasciato
un centro così popolato. Bimbi dappertutto, bimbi stracciati,
macilenti. Questo non è il “colore locale” che amiamo e che una
letteratura cosmopolita descrive come caratteristiche di molte regioni
balcaniche……. E se i turisti delle lussuose e potenti macchine
fuori serie si lamenteranno per il perduto colore locale, che Iddio
non ci metta in corpo la proletaria voglia di farli discendere dai
morbidi e lussuosi cuscini, di sporcar loro la faccia con una
maleodorante manata di fango………Prenderemo loro fotografie a
testimonianza postuma, a documento ultimo di una stupidità umana e di
una insensibilità morale che non è l’ultima causa dei
perturbamenti sociali, culminati nelle rivolte civili e nelle guerre
fra i popoli.” Le
pendici del Monte Kosica sono a strapiombo e difficilissime da
superare,
a quota 1108 è distaccato un plotone agli ordini del C.M
Florindo Longagnani assieme al II° Battaglione dell’84° fanteria
“Venezia” e alla 10° Compagnia mitraglieri della Divisione
Arezzo. In questa zona, mentre porta un ordine al Comando del settore
di Dunica, a quota 1033 viene mortalmente colpita da schegge di
mortaio la camicia nera Montanari Ferruccio di Vignola. E’ il
primo caduto modenese. Le temperature sul
Kosica sono sempre rigidissime e l’azione delle pattuglie è
totalmente condizionata;i greci dominano la vallata dalle quote 1475 e
1498 del monte e di frequente attaccano le nostre postazioni che si
difendono e mantengono le loro posizioni a prezzo di notevoli
sacrifici.
La Camicia Nera
Gustavo Lami La difficoltà dei
trasporti e degli approvvigionamenti è notevole. Per quasi due mesi
le CC.NN. modenesi dovranno accontentarsi delle razioni dei viveri che
consistevano in un pezzetto di formaggio, venti grammi di marmellata,
un gavettino di caffè, una pagnotta e cinque sigarette, a quelle
rigidissime temperature sempre sotto lo zero non era il massimo.
Legionari modenesi
sul Borova Uno dei più
ardimentosi attacchi delle CC.NN alle quote alte del Kosica avviene il
5 Gennaio “alla legionaria,
con lo sprezzo del mortale pericolo ereditato dagli arditi della
grande guerra , con un ardore che accende il sangue e lo sommuove come
un fervido sole di vendemmia fa con l’uva ribollente nei tini, gli
arditi fascisti attaccano il trincerone” Il trincerone viene
raggiunto di slancio ma i greci si difendono con rabbiosa decisione e
con l’aiuto delle nuove mitragliatrici e di freschi rinforzi
riescono a ricacciare le CC.NN. alle loro posizioni di partenza¸poi
vi è il contrattacco dei greci che viene in parte rintuzzato. Ma la
compagnia è gia priva di una trentina di elementi, tra feriti più o
meno gravi e congelati. Quattro camicie nere vengono date per disperse
sono, i legionari Giorgio Crabbia, Pietro Bellei, Francesco Gherardini
e Marino Bonazzi. Ma dopo tre giorni, senza viveri e senza medicinali
per curare uno di loro ferito, dopo essere rimasti nella cavità di
una grossa roccia, riescono a ritornare tra i loro camerati.
In un ulteriore
attacco alle postazioni greche rimane gravemente ferito, preso in
pieno da una rosa di schegge di mortaio, il comandante della
compagnia, Centurione Ermanno Sacerdoti-Grassi: il nemico è su
postazioni privilegiate e cinque volte superiore di numero ai circa
cento legionari modenesi che si proiettano avanti con impeto
indomabile: una raffica di mitragliatrice colpisce in pieno la camicia
nera Michele Bollettini e altri rimangono feriti sul terreno; i capi
delle squadre e dei plotoni Tonino Zoboli, Gustavo Lami, Adolfo
Muzzarelli e Armando Bosi portano i loro uomini sin sull’orlo della
trincea nemica che attaccano con bombe a mano: le perdite avversarie
sono moltissime ma anche molti modenesi sono a terra: la battaglia
prosegue per tutto il giorno e alla notte i resti della compagnia si
attestano sui costoni sino al momento che con il raggiungere dei
rinforzi riusciranno ad attestarsi su di una linea difensiva più
solida. Rimangono su quella montagna con il rosso del loro sangue i
valorosi: Aldo Gelmuzzi, Guido Malpighi, Roberto Zanetti, Antonio
Ballati e Armando Morandi. I feriti sono molti
e così gli atti eroici come quello del nonantolano Tonino Zoboli,
o di Domenico Pini che pur feriti continuano a lanciare bombe
sino all’esaurimento di queste. In seguito, per
questi fatti, furono concesse le medaglie al valore: Medaglia
d’Argento a C.N. Bonazzi
Maurizio di Ferdinando da Castelfranco Emilia; Medaglia di
Bronzo ai
C.P
Benassi Mario da Modena, Bonacini Umberto da Modena, Pignatti
Aroldo da Bomporto, alle CC.NN. Maccaferri Arturo da Castelfranco
Emilia, Marani Abdon da Bomporto, Gherardini Francesco da Castelfranco
E., Vaccari Gildo da Nonantola, Bellei Nino da Bomporto, Rebuttini
Primo da Nonantola. Croci di Guerra al Vice caposquadra Belli Pietro
da Spilamberto e Crabbia Giorgio da Castelfranco E.
La Camicia Nera
caduta sul Kosica, Vezzali Gino. Poi per il mese di
Gennaio riprende la normale routine di vigilanza sulle linee e di
qualche scaramuccia per rintuzzare sporadici attacchi greci. Un operaio meccanico
di Fanano certo Monterastelli Edoardo tenne un diario di quei
drammatici giorni sul Kosica e così con una vena poetica notevole
descrisse la vita sotto la tenda su quei costoni impervi e desolati: “Il
giorno stà per finire. Il cielo è sereno, ma l’aria è gelida: I
teli all’interno luccicano di uno strato di ghiaccio che li fa
sembrare d’argento. “ Oh telo di tenda, debole come una ragnatela,
sembri a
noi una fortezza inespugnabile. Tu ci ripari dal vento, dalla neve e
ci dai l’impressione di difenderci anche dal piombo nemico. Abbiamo
fiducia in te, fratello telo, che fermi sul nostro capo il vento di
gelo e di morte che fuori infuria”. Il mese di Febbraio
è gelido come i precedenti, le camicie nere modenesi lo trascorrono
sotto i bombardamenti dei nemici e a rintuzzare gli attacchi che
abbastanza di frequente sono portati loro. Molti battaglioni
sono in prima linea da oltre tre mesi e in condizioni veramente
difficili, il freddo, l’acqua, il gelo, la neve. Molti legionari si
ammalano, congelamenti, febbri ed anche dissenteria provocano vuoti
nei ranghi per lunghi periodi ed alcuni purtroppo morirono come le
CC.NN. Giuseppe Reggiani,
Erasmo Baraldi e Fulvio Veroni. Le azioni delle
pattuglie della 72° Legione Farini sono frequenti alle varie quote
del Monte Kosica dove sono dislocate e precisamente a q. 1033, q.
1214, q. 1333 dove era situata la Madonnina del Kosica e a q. 1434. I
piccoli villaggi dei dintorni sono tenuti sotto controllo per evitare
che vi s’installino reparti dell’esercito greco, pertanto, in vari
punti si creano posti avanzati per il controllo e la difesa degli
sbocchi verso valle che non devono cadere in mano nemica. Di tanto in
tanto si davano il cambio con i legionari sistemati nel paesino di
Dunica a quota 900 metri. L’operare delle pattuglie, specialmente
per quelle impegnate di notte, è un compito snervante e
difficilissimo per la tensione di improvvise imboscate o di scontri
diretti con il nemico. Nelle giornate del
12 e 13 Febbraio avvennero numerosi attacchi dei greci alle postazioni
dei modenesi e le nostre linee sono sconvolte da un furioso fuoco di
artiglieria e mortai, in quegli attacchi e bombardamenti trovano la
morte le CC.NN. del 72° Battaglione, Ivo Gasparini, Tonino Vecchi,
Cesare Dondi e Zoello Gilli
e molti furono i feriti.: vennero particolarmente colpite
quota 1033 e 1333. La reazione dell’artiglieria italiana non si fece
aspettare e le postazioni greche
vennero tenute per alcune ore sotto un fuoco incessante. La
battaglia era divampata, in un primo tempo i greci riuscirono a
penetrare nelle linee italiane a quota 1333 ma da qui vennero
ricacciati indietro dal fuoco delle mitragliatrici delle camicie nere.
Poi le posizioni si
consolidano e le trincee delle camicie nere sono ad una distanza, da
quelle greche, di circa 150 metri mentre le postazioni avanzate delle
vedette, sono a non più di 70 metri. La vita in quelle condizioni è
difficile ma i legionari devono “tenere” il fronte, sorvegliare i
movimenti dei vicini, sopportare i principi di congelamento,
controllare costantemente le armi affinché l’olio non geli nei
congegni, restare vigili sotto i rabbiosi bombardamenti, poi dopo i
lunghi turni di guardia entrare nella tana seminterrata per dare un
morso alla pagnotta, bere un sorso di caffè freddo, dormire vestiti
con le scarpe ai piedi. In una relazione al
Comandante il Settore Occidentale di Dunica, il Console Petti
comandante della 72° Legione Farini, faceva presente la situazione
difficile, dopo tre mesi di permanenza al fronte durante un inverno
particolarmente gelido, dei suoi reparti che,
tra morti (13), feriti (51) e ammalati (84) si trovava ad
essere particolarmente decimato e pertanto chiedeva un periodo di
riposo.
La Madonnina del
Kosica da un disegno di Walter Morselli Durante i primi
giorni di Marzo avvengono numerosi scontri di pattuglie e scambi
ripetuti delle artiglierie mentre i legionari attendono il cambio.
Vogliamo sottolineare un aspetto particolare della presenza dei
modenesi in terra d’Albania che è quella della presenza di tante
famiglie quali ad esempio i tre fratelli Dario, Alberto e Remo Stefani
nella stessa compagnia di CC.NN e il quarto fratello in un altro
reparto in Albania: altro esempio quello dei quattro fratelli Rivaroli,
l’ing. Bruno con i legionari sul Kosica ed i fratelli, Oberdan,
Antonino e PierDomenico in altri reparti, ma sempre in Albania Pochi giorni prima
di andare al meritato riposo, i legionari modenesi subiscono un
improvviso attacco, e dopo un furioso fuoco di artiglieria da una
postazione greca a q. 1461, partono rabbiose raffiche di
mitragliatrice che prendono d’infilata, in fondo ad un breve
sentiero scoperto, un gruppo di legionari che stavano per avvicinarsi
ad una piccola fonte di scarsa acqua torbida. Una quindicina di
questi, al settantesimo giorno di permanenza in linea sul fronte,
rimangono a terra colpiti. Tre di loro perdono la vita: i CapiSquadra Guido
Ramini e Arnaldo Pastorelli e la Camicia Nera Gino
Vezzali.
Il Centurione
Sarzano Felice caduto sul Kalase Il 16 Marzo, è
l’ultimo giorno in linea e i greci per quasi tutto il giorno tengono
sotto il fuoco delle loro batterie i legionari modenesi e la Camicia
Nera Vittorio Goldoni paga l’ultimo tributo al caposaldo sul
Monte Kosica ; così aveva scritto in una lettera alla famiglia
trovatagli in tasca “
..abbiamo già avuto il cambio, stanotte lasciamo la linea e quando
questa vi arriverà saremo a riposo molto lontani dal pericolo.”
Il Centurione
Ermanno Sacerdoti- Grassi Arriva così il
momento del sospirato riposo e i legionari modenesi vengono sostituiti
dalle CC.NN di Parma e di Forlì, e vanno a Qukes nel vicino Lago di
Okrida. Ai primi giorni di
Aprile, dopo un breve periodo di riposo e dopo che i reparti sono
stati rinforzati dai complementi appena giunti dall’Italia a seguito
delle perdite sul Kosica, la 72° Legione si rimette in marcia, sulla
base di un ordine improvviso, per raggiungere nuovamente la prima
linea. Si vanno a disporre sulla linea che va dal Kosica al Lago
Okrida, la compagnia mitraglieri della 72°, comandata dal Centurione
Ermanno Tusini, che da poco tempo è arrivato in Albania, si dispone
nel settore tra il Kungullit e il Breshenikut e il battaglione “Viva
la morte” raggiunge il Kalase: così i due reparti modenesi, che in
quei giorni ricevettero la visita del Console Calzolari e di Roberto
Farinacei, furono schierati uno fianco all’altro. In quei giorni, dopo
continui duelli di artiglieria su tutto il fronte i greci compiono un
tentativo di sfondamento nel settore del Kungullit dove è schierato
il reparto “mitraglieri”. La lotta è furiosa varie compagnie
rimangono isolate e numerosi sono i corpo a corpo. Il 1° plotone,
comandato dal C.M. Renzo Gemma, il 2° plotone al comando del C.M.
Mauro Gatti, il 3° plotone comandato dal Cm: Branco Piacentini e il
plotone comandato dal C.M. Aldo Giovannardi, vengono a trovarsi al
centro dell’attacco nemico. Un formidabile bombardamento nemico,
preparatorio all’assalto, sconvolge le nostre linee. Molte
mitragliatrici furono messe fuori uso dal violentissimo fuoco dei
greci e molti legionari tra morti e feriti gravi vennero messi fuori
combattimento. Alcune compagnie furono completamente distrutte. Con un
numero preponderante di uomini il nemico attacca furiosamente e alcuni
gruppi di CC.NN. già completamente accerchiate riuscirono ad aprirsi
un varco, usando pugnali e bombe a mano, attraverso le fanterie
nemiche riuscendo a raggiungere una posizione leggermente arretrata
tenuta dall’ultimo plotone “mitraglieri” ancora efficiente. Poi
verso sera, con l’aiuto dell’intervento del CXI° battaglione di
Pesaro fu sferrato il contrattacco che riuscì a rigettare indietro le
fanterie nemiche che lasciarono sul terreno molti caduti.
I Legionari modenesi in linea erano circa 150. Dopo i furiosi
combattimenti si contarono 8 morti sessantre feriti e 16 dispersi. Dei
cinque Ufficiali della Compagnia: 1 morto 3 feriti e 1 disperso. Numerosissimi furono
gli atti di valore, tanto che la compagnia ebbe una medaglia d’oro
assegnata al giovanissimo “balilla” Arturo Galluppi, tre
d’argento, sette di bronzo oltre a numerose croci di guerra al
valore. Caddero in quella furiosa battaglia oltre alla giovane camicia
nera Arturo Galluppi, le CC.NN: Irmo Righi, Donato Toni,
Ettore Lusetti, Mario Lanzotti, Remo Vandelli, Giovanni Cadignani,
Ettore Vezzani e il Capo Manipolo, Mauro Gatti.
La Medaglia d’oro
Arturo Galluppi Il reparto schierato
sul Kalase era stato sistemato su di una specie di altipiano
argilloso, sconvolto dalle bombe e con attorno boschi di castagni,
tutti colpiti e frantumati dall’artiglieria. In quei giorni entra in
guerra anche la Iugoslavia e i reparti modenesi vengono a trovarsi in
una zona delicatissima, esattamente al confine con la Grecia e la
stessa Iugoslavia. Come è avvenuto sul vicino Kongullit anche sul
Kalase, dopo un fortissimo fuoco di artiglieria, si accende furioso il
combattimento e tantissimi furono gli scontri ravvicinati con i greci:
numerosi feriti e i seguenti caduti modenesi rimasero sul terreno: il
Capo Squadra Vezzani Nello, e le CC. NN. Givera Mario, Zanni
Mario e RiccardoZanella. Il giorno 13 Aprile,
giorno di Pasqua, dopo logoranti combattimenti, termina in sostanza la
battaglia su quelle montagne impervie. E’ il contrattacco italiano,
con la collaborazione dei reparti tedeschi; su tutto il fronte,
l’inseguimento ai greci è frenetico, si riconquistano tutte le
posizioni di confine e sono fatti moltissimi prigionieri. Sulle alture
di Borova i legionari trovano un forte sistema difensivo e il giorno
19 Aprile al pomeriggio scatta l’attacco per debellare quella forte
resistenza: oltre ad alcuni feriti restano per sempre sul terreno
alcuni modenesi: il Centurione Felice Sarzano il Capo Manipolo Umberto
Bonacini e le CC. NN. Ottavio Righetti e
Contardo Bolelli. Qui ha termine il
succinto racconto dei legionari modenesi che si sacrificarono
sull’Ara del Monte Kosica chiamato da loro: “ l’Alcazar della
morte bianca” in quei lontani mesi dell’anno 1941.
Il
Gagliardetto del Battaglione “Viva la Morte”
Tende sul Monte Kosica |
Torna all'inizio |
Da Modena a Tambow senza ritorno(del
bersagliere Zucchini Augusto da un racconto del fratello Bruno)
Il
Tram correva veloce sui binari al centro del lungo Corso Vittorio
Emanuele, una delle strade più belle della mia città, Modena, dove
abitavo. L’ingresso della mia abitazione, posto circa a metà del
corso, sul lato destro partendo dalla parte posteriore del Palazzo
Ducale, sede dell’Accademia Militare, era in un bel palazzo, che
nella parte prospiciente il corso era abitato da famiglie abbienti,
della “buona” borghesia modenese. L’accesso alla soffitta, dove
la mia famiglia era venuta ad abitare da poco tempo, era, dopo aver
attraversato il bell’androne ed il cortile interno, su per una scala
ripida, che mi portava al quarto piano in una specie di granaio, oggi
sarebbe chiamata mansarda, e le finestre, anzi l’unica finestra, si
affacciava sul piazzale dove si svolgevano le esercitazioni
all’aperto dei cadetti dell’Accademia. Intanto
il tram, raggiunta una discreta velocità, arrivato oltre la meta del
lungo Corso, cominciò a far sentire un ta,ta,ta,ta lungo come una
raffica di mitragliatrice che sorprese i passanti non residenti
(questi vi erano abituati), mentre un gruppo di ragazzini, compreso
l’estensore di queste note, si rincorreva lungo il largo
marciapiede, esultando e lanciando esclamazioni di gioia per
l’ottima riuscita di uno dei tanti giochi che, in quella primavera
del 1942, erano soliti fare. Usavamo,
a quei tempi, delle piccole cartucce rosse in strisce non molto
lunghe, che, messe nel tamburo dei piccoli revolver di latta o dei
fucilini con i quali, noi maschietti di quella contrada, ci
divertivamo, sentendo anche il piccolo botto, a condurre le nostre
piccole battaglie ad imitazione dei grandi, che in realtà si
scannavano sui vari fronti della seconda guerra mondiale. Quella
poi di mettere una serie di cartucce sui binari del tram per sentirne
l’effetto della raffica, era uno dei tanti giochi di strada che
allora si potevano fare per la scarsità del traffico, assieme alle
interminabili corse “dei coperchini”, i tappi di latta delle
bottiglie, sui lunghi percorsi dei cordoli del marciapiede o di quelli
della banchina dove passavano i tram. Vi erano particolari
accorgimenti per rendere più competitivi i nostri tappi di latta,
come il riempimento con terra creta, e la smerigliatura dei bordi;
molto di moda era anche il gioco delle “bambane” e delle piastre,
dove in palio erano sempre le immancabili figurine, dette anche
“fifi” (non erano ancora Panini e vi era la caccia spietata al
“Feroce Saladino” dei mitici “Tre Moschettieri” del Concorso
Perugina) che riempivano le nostre tasche, assieme a biglie, elastici
per la fionda, oltre ad altri svariati “piccoli attrezzi”. I
Giardini Pubblici, che avevano l’ingresso sul nostro corso, e in
particolare la zona dove insiste ancora oggi il monumento a Nicola
Fabrizi, erano il territorio dove si svolgevano tanti dei nostri
giochi, come il salto della cavallina, strega a nascondere, guardie e
ladri, oltre a battaglie
di vario genere che a volte sconfinavano in quasi risse, dato che si
usavano sassi e bastoni e spesso si ritornava a casa con qualche
“bernoccolo” e qualche sbucciatura, specialmente quando ci si
scontrava con le “bande” dei ragazzi o di Via Palestro o della
Cerca. Uno
dei giochi più eccitanti, ma tra i più pericolosi, era quello di
salire sui respingenti del tram, e si faceva quando il mezzo era in
corsa per evitare che, o il bigliettaio o il conducente, si
accorgessero della nostra presenza e altrettanto per la discesa. Di
norma si faceva tutto il lungo percorso del grande viale, ma spesso si
usciva dal territorio raggiungendo, da una parte la Stazione Centrale
e dall’altra Piazza Roma o Via Farini. Un
esercizio nel quale alcuni di noi erano diventati “specialisti”,
si correva dietro al tram e molte volte in due, ma più spesso da
soli, si saltava sul respingente e lì ci si accucciava per non essere
scoperti. A parte qualche sbucciatura alle ginocchia e ai gomiti, a
mia memoria, non vi furono mai episodi di una certa gravità che un
esercizio di quel tipo avrebbe potuto produrre. Il
27 Maggio di quell’anno, al mio rientro a casa, trovai la mamma in
un particolare stato di agitazione; sulla tavola un telegramma: Improvvisa
partenza. Scriverò. Baci. Augusto
Era
di mio fratello, che, dopo aver concluso il Corso allievi Ufficiali
del Terzo Reggimento Bersaglieri a Pola era stato inviato a Cremona
per il suo primo impegno di Ufficiale e dove si trovava a quella data.
Non lo ricordo molto mio fratello, data la notevole differenza d’età, undici anni, ma le tante fotografie, i tanti ricordi e racconti dei miei genitori e dei suoi amici, lo hanno fatto rivivere nella mia memoria, come fossi stato con lui ogni giorno. Andò a studiare a Roma all’età di sedici anni e ritornava a casa per le vacanze, poi il servizio militare, di conseguenza sarò stato tra le sue braccia e avrò giocato con lui solamente in rare occasioni. In ogni lettera che inviava a casa, o nei suoi anni trascorsi a Roma, o durante il servizio militare e in seguito dalla Russia, vi erano sempre, per il suo fratellino, parole d’incoraggiamento per lo studio e per il buon comportamento verso i genitori, gli insegnanti e gli amici. Quella dello scrivere era una delle sue tante passioni, oltre al disegno, alla musica e lo sport, quasi quotidianamente scriveva lunghe lettere a casa, agli amici, alle amiche e ai parenti (sono in possesso del suo archivio che consta di una serie di cartelle strapiene delle sue lettere). Si pensi che solamente dalla Russia, dove, dal 27 Maggio al 10 Dicembre 1942, data della sua ultima missiva dal fronte, in un periodo di 198 giorni ha inviato ai suoi genitori 140 lettere oltre a decine di cartoline: non si contano poi le lettere inviate agli amici, alle ragazze, ai parenti. Intanto, in Corso Vittorio Emanuele, i bambini giocavano spensierati ed allegri, senza preoccuparsi, più di tanto, di quello che succedeva ai loro fratelli e ai loro padri sui lontani fronti della Russia, dell’Africa o della Grecia. Durante le belle giornate i territori per le scorribande erano appunto, i giardini pubblici e la contrada nella quale si svolgevano i giochi di strada di cui ho parlato. Nelle giornate piovose e di cattivo tempo ci raccoglievamo nelle case dei più fortunati, che avevano appartamenti spaziosi ed accoglienti, oppure nei locali di vaste dimensioni tipo il garage dell’amico Corrado Gozzi, dove ci si poteva sbizzarrire in giochi svariatissimi; lo scambio ed il collezionismo dei giornalini dell’epoca, oppure i giochi con il meccano portati dai bambini con maggiori disponibilità economiche, che venivano messi a disposizione dei meno abbienti, così che il gioco era sempre alla pari. Ci si cimentava anche, in forma molto semplice, nella costruzione di mezzi come monopattini, carriolini, slittini con i quali, in rapporto alle stagioni, si andavano a fare scorribande sui larghi marciapiedi del nostro Viale. Talvolta, quando erano presenti ai nostri giochi anche le bambine, non era difficile arrivare a giocare al “dottore” che è stato senz’altro, per tantissimi ragazzini di quel periodo e non solo per quelli della mia generazione, il modo di fare le prime conoscenze, anche se molto limitate e sempre circospette della corporeità dell’altro da sé, interpretando le prime sensazioni della sessualità incipiente. La guerra mondiale era sì in atto, ma noi bambini non avevamo, sino a quel momento, il minimo sentore, se non attraverso qualche notizia che ci dava il maestro, sul progresso delle avanzate delle truppe italiane sui vari fronti, visionandole sulle grandi carte geografiche, che si trovavano nelle aule scolastiche a quei tempi. Frequentavo le scuole elementari “De Amicis”, con la maestra Dora Chiomati in quarta classe ed il Maestro Pini in quinta. Rare volte capitava di andare nelle case di qualche compagno di scuola o di giochi e trovare la radio accesa da dove si potevano ascoltare i bollettini di guerra, che in realtà poco c’interessavano, essendo la maggior parte di noi attratta dalle trasmissioni che mandavano nell’etere le canzonette di Alberto Rabagliati, del Trio Lescano, di Natalino Otto dell’orchestra di Korni Kramer, quali, “Parlami d’amore Mariù”, “Una casetta nel bosco” e tante altre che allora erano di moda. In casa nostra la prima radio fu acquistata in quell’anno, ma verso la fine, con l’arrivo dei primi stipendi di mio fratello, con i quali mia madre riuscì, dopo alcuni mesi, a comperare una camera da letto moderna, per Lui. Qualche volta con la mamma, o il papà, o tutti assieme, si andava al cinema per vedere i film di Fosco Giacchetti, Amedeo Nazzari, Alida Valli, Assia Noris ed allora era grande festa; “Luciano Serra pilota”, “L’assedio dell’Alcazar”, “Piccolo mondo antico” sono alcuni titoli che ricordo di quel periodo; e negli anni successivi il cinema fù per mé un argomento di enorme interesse. In quell’estate di guerra, con mio fratello sul fronte russo, quando ancora le sorti del conflitto sembravano essere favorevoli alle forze dell’Asse, feci le mie prime esperienze lontano da casa. La colonia estiva di Sestola aveva sede nel castello che domina la ridente località dell’Appennino modenese dove fummo portati, dalle organizzazioni del partito, con le corriere della ditta “Macchia” che ci fecero vedere, allora si diceva, “i sorci verdi” lungo i tornanti della “serpentina”, la strada che collegava Pavullo a Sestola. Con altri ragazzini, accompagnati dai maestri della colonia, ci avventuravamo attraverso i boschi sino alle falde del Monte Cimone, alla scoperta di una natura e di un ambiente che ci affascinava e ci coinvolgeva ma che per noi bambini di città, al contrario degli indigeni coi quali venivamo in contatto, restava pur sempre una dimensione di difficile adattamento. La lontananza da casa, i dormitori in camerate comuni, la mancanza dei giochi lasciati in città, facevano sì che ci fossero, in particolare nei primi giorni, momenti di scoramento e di nostalgia che le accompagnatrici e le maestre non riuscivano, pur con tutte le loro buone intenzioni, a farci dimenticare. Avevo sì avuto giornate fuori casa, alla colonia elioterapica sul Fiume Panaro, ma erano esperienze di un solo giorno, perché eravamo accompagnati, la mattina a prendere il sole e a fare il bagno nelle acque del fiume, a quei tempi limpidissime, e di pomeriggio si ritornava in città. Il “viaggio” intrapreso da mio fratello in quella primavera procedeva rapidamente verso il territorio sovietico: il 29 maggio il terzo reggimento Bersaglieri è in Ungheria e il 31 in Romania. “Carissima mamma, mi sono appena alzato. Ieri sera a Timisoara gli
italiani residenti in quella città ci hanno offerto uno splendido
ricevimento con visita alla città. Ora stiamo andando verso Bucarest
e si costeggia il Danubio. …………..Il tempo è ottimo con un
discreto caldo, il morale altissimo. Tra sei o sette giorni arriveremo
a destinazione in Ucraina al C.S.I.R. dove pianteremo le tende. Tanti
saluti e baci. Augusto” E dopo 11 giorni di viaggio, a suo dire sempre positivo, interessante ed anche divertente, arrivano a destinazione, e l’8 Giugno sono a Stalino da dove scrive una lettera al padre: “Caro papà, finalmente ci siamo. Arrivati domenica sera, alla
fine della ferrovia abbiamo pernottato in un paese e al mattino ci
siamo messi in cammino verso il luogo dove si trova il Reggimento.
E’ stata la prima marcia in terra russa prima di chissà quante
altre che seguiranno e di chissà quale importanza. …… (e qui
descrive le qualità del rancio) ……L’unico disturbo è la
visita, ogni tanto, di qualche apparecchio che lascia cadere alcune
bombe o qualche tiro d’artiglieria da lontano. Non so ancora come, ma non ho ricevuto posta né da tè né da mamma
dato che i primi ad avere notizia della partenza e l’indirizzo mio
siete stati voi. Almeno fino a stamani. Spero arriverà dato che
dall’Italia impiega circa 7 giorni come per arrivare a voi da qui.
Capirai sono ormai più di 15 giorni che non ho avuto vostre notizie e
vorrei sapere almeno come avete preso la mia partenza. State
tranquilli che io stò benone e se andrà tutto bene, come giusto che
vada, spero fra non molto di riabbracciarvi. Qui ci stà gente dal Luglio dello scorso anno che ha combattuto e
sofferto per tutto il lungo inverno con 50° sottozero, eppure è qui
sana e allegra come non mai. Ho incontrato parecchi altri miei
camerati e con loro stò sempre in perfetta allegria attendendo quello
che ci sarà da fare in seguito. Ieri ci hanno cinematografato per un
documentario del glorioso 3° Bersaglieri che, come saprai, qui in
Russia si è coperto di gloria sempre e ovunque. Ricevi tanti abbracci
e bacioni. Augusto. Sulla base delle lettere che arrivavano dalla Russia e dalle indicazioni dei bollettini di guerra dei giornali, iniziai, assieme alla mamma a seguire l’itinerario del reparto di mio fratello su di una carta geografica preparata in casa e sulla quale, a grandi linee, si potevano percorre gli spostamenti che nella realtà corrispondevano, molto genericamente, a quello che effettivamente poteva essere il movimento al fronte. Imparai così i nomi delle città, dei fiumi, dei monti di quella lontana terra, era una lezione di geografia che mi servì anche scolasticamente tanto da avere in quella materia sempre il voto più alto e la maestra, coniò per mè il titolo di “piccolo geografo”. Le lettere scritte alla mamma avevano sempre un contenuto rassicurante e sulla situazione e sull’alimentazione, poche volte accennavano a fatti guerreschi, che si trovano, con più frequenza, nelle lettere inviate al padre. 7 Luglio 1942 - Carissima mamma, sono riuscito a trovare dei fogli e
delle buste per combinazione e ne approfitto subito per
scriverti………Qui c’è solo abbondanza di frutta e di vecchi con
barbe lunghe fino ai piedi e pieni di pidocchi. Ora comincio a
balbettare qualche frase in russo e credo che, se starò qui
parecchio, lo imparerò discretamente. Siamo un po’ lontani dalla
prima linea, si stà benone e si fa vita di caserma. Sono contento di
essere stato anche “lassù” dove si sparava e aver fatto i miei
giorni a contatto col nemico. Infatti
qui facevamo cura del sole e un po’ d’istruzione indispensabile,
suoniamo dischi in tutte le lingue finchè non arriverà l’ordine di
caricare il materiale sui camion e andare avanti. Sono le 6,30 di
pomeriggio, fra una mezz’ora a mensa poi due chiacchere e dopo poco
a letto. La sveglia è alle 4 perché qui il sole si alza prima
essendo spostati di due fusi orari verso est e a quell’ora già
scotta dato che l’alba
è alle due e mezza. Ogni tanto passano apparecchi russi – si sente un fuoco infernale
e qualcuno viene a sbattere il muso giù- una confusione che dà un
bellissimo spettacolo specialmente di notte quando si spara con le
pallottole che lasciano dietro di se una striscia luminosa. Io stò
sempre benone, quando non so che fare o mangio o disegno o
scrivo…….Qui salvo gli aeroplani non sembra nemmeno di essere in
guerra, ma non può durare tanto a lungo ed è naturale. Ti bacio
tanto insieme a Bruno che non scrive mai. Augusto Le varie località delle zone interne della Russia, dal Donetz al Don, cominciarono a diventarci abbastanza familiari, si andavano a cercare sulla carta geografica i centri come Stalino, Karkov, Kursk, Voronej, Jagodnij dove ad iniziare dalla metà del mese di Luglio iniziò l’offensiva delle forze italo-tedesche e nella quale si trovò coinvolto il 3° Reggimento Bersaglieri della Divisione Celere, alla quale apparteneva mio fratello. Dal Donetz al Don vi fù una grossa avanzata. Il giornalino del 3° Bersaglieri, al quale collaborava con scritti e disegni anche il sottotenente mio fratello, chiamato “In Bocca all’Orso” raccontava, con enfasi e con lo stile propagandistico dell’epoca, dei grandi successi riportati, ma anche dei piccoli episodi che avvenivano tra i soldati, delle esperienze nei combattimenti e dei rapporti con la popolazione delle contrade nelle quali si venivano a trovare i bersaglieri, con racconti che denotavano sempre la cordialità reciproca tra i civili e i militari italiani. Così scriveva al padre: 17 Luglio – Carissimo papà, ti sto scrivendo piuttosto scomodo
sopra una cassetta di munizioni. Sono sei giorni che ci siamo mossi da
dove stavamo e siamo avanzati per una cinquantina di Km. I russi
finora non hanno opposto molta resistenza e salvo qualche piccolo
combattimento se la sono sempre data a gambe, meno ora che si sono
posti in difesa. Gli aeroplani passano continuamente e scaricano su di
loro le pillole che tengono nei loro ventri capaci, vedessi che colpi!
Dormiamo sempre all’”Albergo della Luna” con un po’ di fresco
ma in complesso si stà benone anche come mangiare, che come sai è
una cosa abbastanza importante. Salute sempre ottima, morale ancor di più, meglio non può andare.
Speriamo continui così e andrà tutto bene. Ti saluto e ti mando
tanti baci. Augusto A Modena, i ragazzini di Corso Vittorio Emanuele che seguivano gli avvenimenti della guerra in modo molto relativo, sono sempre alle prese con i loro giochi e la maggior parte delle ore in quelle calde giornate estive si trascorrevano nell’oasi di verde dei vicini giardini pubblici. Mio fratello scriveva tante lettere, ma ai genitori non raccontava gli aspetti più crudeli della guerra, cosa che invece faceva con amici o conoscenti, come questa lettera inviata ad un’amica della mamma che abitava in riviera ligure e della quale sono riuscito ad entrarne in possesso dopo del tempo. Graf-Voronez - 18 agosto 1942 – Gent.ma Signora Maria Rosa,
non potete immaginare con quanta sorpresa abbia ricevuto la vostra
lettera dopo tanti anni che non avevo più vostre notizie. E’ stato
quindi con vero piacere che
ho appreso della visita fatta a Modena a mia madre che sarà stata
felicissima di rivedervi. Se non sbaglio l’ultima volta fu nel ’38
quando abitavamo ancora in Via Cesare Battisti ed io mi trovavo in
licenza dall’Accademia di Roma. Da allora quante cose, quanti
cambiamenti sono avvenuti e come vedete da Modena a Roma, a Milano,
Bologna, Pola, via Cremona sono arrivato in Russia dopo circa 20 mesi
di servizio militare. La strada è stata dura e faticosa. Proprio oggi
siamo scesi dalla linea per un periodo di assestamento del fisico e
del morale dopo circa un mese e mezzo di continui sacrifici, di
combattimenti. E’ stato un periodo addirittura apocalittico quello
che ho vissuto: combattimenti, attacchi, assalti, lotte furiose sotto
fuochi infernali, visioni di carri armati, tempeste di proiettili e
purtroppo altri spettacoli di puro eroismo ma di grande dolore. Ho
visto cadere, quando più cruento era il combattimento, tanti miei
colleghi ufficiali , che come me erano cresciuti nel clima ardente
dell’entusiasmo e della fede e con me erano partiti gloriosi del
loro piumetto di una indomita passione bersaglieresca, e come tanti
colleghi nello stesso modo, vicino a me tanti miei bersaglieri hanno
irrorato col loro sangue purissimo questa maledetta terra che rimarrà
nei secoli testimone del loro sacrificio……………….Tanta gente
si lamenta dell’Italia ma vorrei prelevarli io quei signori e
portarli un po in Russia a vedere cosa c’è di nuovo e di bello nel
famoso paradiso di Stalin. Faccio presto a farvi una breve sintesi di
questo inferno dei vivi, strade niente, case fatte di fango e sterco
animale, dove dentro sentite e vedete gli odori e gli animaletti più
strani. Gli abitanti luridi e pezzenti quanto mai, donne comprese.
Solamente a Voroscivolgrad, che è una città grandissima però sempre
ugualmente lurida ho visto qualche ragazzetta con labbra dipinte e
capelli corti (moda 1925). Indubbiamente la civiltà qui in Russia è
progredita unicamente nell’industria di guerra e nelle macchine
agricole…………..Ora cado di nuovo nella politica che in una
lettera ad una signora che si vuole informare del proprio stato di
salute, c’entra come i cavoli a merenda.
State pur sicura che alla mamma scrivo spesso poiché comprendo
il suo stato d’animo nel non avere mie notizie. Se è stata tanti
giorni senza avere posta il fatto è dovuto che io ero nella assoluta
impossibilità di scrivere trovandomi in linea, possessore dei vestiti
che indossavo più l’elmetto, la rivoltella e le bombe a mano.
……….. Ora lascio di scrivere, poiché credo di avervi fatto
perdere già tanto tempo e poi si avvicina l‘ora della mensa che è
sempre oltremodo gradita, tanto più che qui, fortunatamente, non si
soffre di razionamenti, ma al contrario si mangia ottimamente. Spero
vi ricorderete ogni tanto di me con qualche scritto che mi giungerà
sempre graditissimo, insieme a voi unisco i miei più affettuosi
saluti a Carla e Baby che anch’io ricordo tanto caramente. Augusto Malgrado si sia lontani da Modena migliaia di chilometri, è sempre forte, per tutti i modenesi, il desiderio di rivedere la Ghirlandina, o di sentire qualcuno che ti parla in dialetto. Il bersagliere Augusto nel suo peregrinare tra 18°, 20° e 25° battaglione del Terzo Reggimento, non aveva commilitoni della nostra città. Così raccontava in un suo scritto l’incontro con un concittadino: 8 Settembre 1942 - Carissima mamma, mi sono appena alzato – fa
ancora fresco, ma un bel sole non tarderà a
scaldarci……………….Ieri sera è venuto all’accampamento
l’auto sonoro e ci ha fatto sentire le ultime novità di canzoni
italiane. I bersaglieri erano tutti contenti a sentire quella musica
che li avvicinava un pò alla Patria lontana, e uno di loro mi ha
detto: eh Sig. Tenente, bei tempi quando si andava a ballare e la
Russia non si sapeva nemmeno cosa fosse! E’ proprio cosi. Sai che è da Maggio che non parlo in dialetto
modenese con qualcuno di Modena – ah nò. In Luglio durante la
famosa avanzata incontrai una camicia nera che urlava a un suo amico
in perfetto modenese. L’ho chiamato e mi ha detto che abita in Via
Voltone, mi ha riconosciuto per un frequentatore del G.U.F. quando si
ballava e lui suonava in quell’orchestrina. L’unico contatto in
tre mesi. Ci sono altri emiliani al Reggimento, pochi in verità e
tutti romagnoli venuti dal 6° Bersaglieri…………………..Tanti
bacioni. Augusto. Il terzo Reggimento Bersaglieri, dopo l’avanzata del periodo estivo, era andato a schierarsi sul fronte del Don nella zona di Migulinskaja, mentre il sesto Reggimento si trovava più a sud, in un ansa che il fiume faceva con un suo affluente, il Tichaja. A Nord del Terzo, sempre sulla linea del Don era schierata la Legione Croata e la Divisione Torino. Vi era sempre la speranza, da parte dei soldati, di poter avere una licenza per trascorrere a casa un breve periodo. A fine Settembre, il bersagliere, cosi scriveva: 26 Settembre – Carissima mamma, da qualche giorno hanno
aperto le licenze per esami per chiunque debba sostenere qualcuno di
questi sia all’Università che in qualsiasi scuola. Dato che
l’Accademia non ci fa più sostenere gli esami se non a fine guerra,
io vorrei dare l’esame di maturità al Liceo Scientifico,
naturalmente per venire a casa un mesetto…………………… Ti
voglio dire una cosetta che ti farà piacere: sono stato proposto per
la medaglia di bronzo al valor militare per una delle azioni scorse.
Non so quale risultato avrà e se riuscirò ad averla. In ogni modo è
stata una grande soddisfazione per me veder premiato questo ciclo
operativo dopo tutto quello che si è fatto. Ho avuto ieri la
comunicazione dal Comando con una motivazione che se te la scrivessi
ti metteresti sicuramente a piangere come un vitellino!…………..
Tanti bacioni . Augusto La calda estate del 1942 stava esaurendosi sia a Modena sia in Russia. Nella nostra città si viveva ancora, abbastanza tranquilli, anche se in molte case si cominciava a piangere per la sorte di un familiare morto, in Africa Settentrionale, nei Balcani o nelle steppe sovietiche. Mia madre venne particolarmente colpita, l’anno precedente, dalla notizia della morte del figlio di una sua cara amica che abitava in Via della Cerca e che scomparve nel Mar Mediterraneo nell’affondamento dell’Incrociatore Zara dove era imbarcato. Le sorti della guerra si stavano via via modificando, dopo i grandi successi delle truppe dell’Asse, in Luglio iniziò la controffensiva inglese in Libia; in Russia italiani e tedeschi, schierati sul Don, si apprestavano ad affrontare quello che fu il tremendo inverno sovietico del 42-43. Ci si avvicinava così al grande inverno russo e alla tragedia degli italiani sul fronte del Don. A Modena la mia famiglia si era trasferita, con l’aiuto degli stipendi del bersagliere, in un’abitazione più dignitosa, ma pur sempre modesta, in un fabbricato all’angolo tra il nuovo cavalcavia della Sacca e la ferrovia, Via Mazzoni, che era pur sempre un prolungamento di Corso Vittorio Emanuele, perciò rimanevo sempre nella zona dove mi ero creato un buon gruppo di amici con i quali continuavo a trovarmi ed a giocare con loro. L’appartamento era di mio zio Ruggero, che era riuscito ad ottenere un portierato in uno dei palazzi di Viale Crispi, poi colpiti dai bombardamenti. Ci trasferimmo, in seguito alle sollecitazioni del bersagliere che, in continuazione, nella sua corrispondenza con i genitori, li stimolava a cambiare casa. Il Tragico inverno 1942-43 sul Don 3 Novembre 42 – Carissimo papà, siamo fermi in un paesetto per
una tappa di un giorno: anche queste marce di trasferimento stancano
parecchio dato che bisogna andare piano perché si è in colonne
lunghissime di camion e non è troppo bello star seduti ore ed ore fra
odori di benzina, nafta, polvere e tante altre cosette. Domattina
presto riprendiamo la marcia per un altro lunghissimo percorso.
Saliamo sempre verso il Nord, finirà che ci troveremo a Mosca senza
accorgersene. Comunque tanto lontani non ci siamo. Il tempo si ostina
a rimanere bellissimo, non fa freddo affatto mentre l’anno scorso a
questo tempo erano già con neve, ghiaccio e furibonde tormente
a parecchi gradi sottozero. Sono già le 11 e bisogna andare. Oggi si mangia a secco dato che
non è possibile fare il rancio: gallette e scatoletta di carne,
marmellata e formaggio. Appena arrivato spero di trovare posta tua così
potrò subito risponderti. Non ho altro da raccontarti. Mi raccomando
fai studiare Bruno e in ogni modo avvisami di come si comporta a
scuola. Ora deve frequentare la quinta classe e il prossimo anno dovrà
iniziare la Scuola Media. Tanti cari bacioni. Augusto. Il 3° Reggimento Bersaglieri, contrariamente a quelli che erano i compiti per i quali erano stati istruiti, in concreto, per un impiego eminentemente offensivo in una guerra manovrata, andò a sistemarsi, per la sosta invernale, lunga la sponda destra del Don. Alle spalle le località di Mrychin e Meschtcherjakoff e di fronte, sulla sponda sinistra del Don, la 197° Divisione di Fanteria russa. 28 Novembre 1942 – Carissimo papà, ho appena finito di scrivere i
miei conti e subito passo a te. Parlo di conti poiché ora oltre al
bersagliere, ufficiale, combattente faccio pure il vivandiere del
Battaglione…. Da qualche tempo mi stò digerendo giornalmente
qualche centinaio di Km. –
oggi ho portato con mè il cane – non sai che ho un cane? Si chiama
Stalin e gli piace il cognac - …… A proposito tra un mese è
Natale -mi ricordo quando facevo il presepio per mè poi per Bruno –
ora credo sia capace da solo………Il freddo si sente già parecchio
ma relativamente dato che abbiamo parecchia roba da metterci addosso.
Io finora vado piano a vestirmi poiché quando a Dicembre e Gennaio ci
saranno 45° cosa mi metterò?………Tanti bacioni. Augusto La corrispondenza da e per l’Italia è ancora regolare per i primi dieci giorni di Dicembre. Ma si stanno preparando i giorni dell’inferno. L’ultima lettera arrivata a casa, del Bersagliere Augusto, è datata: 12 Dicembre 1942 – Carissima mamma, ho avuto oggi la tua lettera
del 28 Novembre e il secondo pacco spedito. Il passamontagna è
meraviglioso. …….
Natale si avvicina – già si vedono arrivare casse di liquori,
spumante, panettone Motta per noi che stiamo e che staremo per quella
solennità in prima linea. Novità: fa freddo come al solito. Oggi
forse finisco di farmi le fotografie e spedisco il pacco. Anzi vorrei
uscire subito poiché è uscito un po’ di sole. Ora abbiamo delle
bellissime tute bianche con cappuccio per nasconderci sulla neve. Gli
elmetti sono bianchi……..Tutti i miei amici, le varie fanciulle, i
parenti mi chiedono se è vero che per Natale verrò in licenza.
Illusi!….. Hai avuto i quattrini? Fai scrivere un po’ anche al
signor Brunello. Bacioni
tanti. Augusto Da allora il gelo dell’inverno russo calò anche in casa mia. Le notizie che si ascoltavano alla radio e che si potevano leggere sui giornali, erano sconfortanti. I Russi avevano sfondato il fronte. La speranza era che il reparto di mio fratello fosse potuto sfuggire all’accerchiamento dei sovietici. Si seguiva sulla carta geografica il ripiegamento delle forze italiane, ma l’accerchiamento delle Divisioni, compresa la Celere, non dava nessuna speranza di poter avere notizie dirette dal bersagliere. Passarono così i mesi, tremendi per i genitori che erano abituati, quasi ogni giorno, prima della metà di Dicembre, a ricevere le sue lettere; ad un tratto, la brusca interruzione della corrispondenza. Ma a fine Settembre dell’anno 1943, arriva a casa nostra una cartolina della Croce Rossa Internazionale, scritta dal campo di concentramento di Tambow a metà Gennaio, dove il bersagliere dichiara di star bene: è stata questa una delle rarissime cartoline arrivate in Italia dai campi di concentramento sovietici che sollevò, al momento, le disperate condizioni dello stato d’animo dei miei genitori. Per anni sono stati convinti che il figlio fosse ancora in vita e chissà per quali ragioni non riusciva, anche a guerra finita, a rientrare, assieme a quelle poche migliaia di reduci che gradualmente fecero ritorno in Patria. Ma il bersagliere era deceduto dopo pochi giorni dalla spedizione di quella cartolina, conservata gelosamente dalla mamma, e ancora in mio possesso: l’amico di Gorizia di cui fa cenno nello scritto (la sua famiglia venne informata subitamente) non riuscì a far pervenire in Italia suoi scritti, ma ebbe la fortuna di sopravivere, ritornò dalla prigionia e naturalmente contattato, non seppe dare ragguagli precisi sulla fine di mio fratello, in quanto, a un certo momento del mese di Gennaio, vennero divisi. La cartolina della CRI da Tambow Cartolina della Croce Rossa Internazionale dal Campo di concentramento n. 188 di Tambow Carissimi, Vi scrivo da un campo di concentramento. Potrò scrivere
credo una volta al mese. Voi potrete scrivermi quando vorrete però
aspettate il mio indirizzo definitivo che non è questo. La vita è
calma e tranquilla e siamo tutti ufficiali insieme. Avvertite la
Sig.ra Rita Pontieri abitante a Gradisca d’Isonzo (Gorizia) che il
figlio Salvatore è con mè ha scritto e stà bene. Spero vi siate
stabiliti nella nuova abitazione. Io stò bene come spero sempre di
voi. State calmi e tranquilli e speriamo tutto possa andare per il
meglio. Tanti tanti bacioni. Augusto Purtroppo questo messaggio, che diede tante speranze e creò tante illusioni, fù la causa per tener aperta quella ferita ancora per tanti anni. I vari contatti avuti con i suoi colleghi e camerati che riuscirono a rientrare in Italia, non diedero mai certezze definitive della morte del bersagliere; visite nelle varie località italiane fatte da mio padre, una fittissima corrispondenza attraverso ricerche lunghissime per avere gli indirizzi dei fortunati, che hanno sempre risposto alle accorate lettere dei genitori con sensibilità e correttezza, non hanno mai portato a conclusioni certe. Si seppe, sì che era rimasto leggermente ferito nei giorni dello sfondamento del fronte e che venne anche curato da un medico militare italiano nel campo di concentramento, ma non destava preoccupazione la leggera ferita. In realtà, probabilmente con l’insorgere di complicazioni, la dissenteria, il tifo, il grande freddo, la scarsezza del cibo, l’impossibilità di cure adeguate, il fisico, seppure gagliardo del bersagliere, non resse. Negli anni ’50, in pieno clima di guerra fredda, scoppiò e venne portata avanti per molti anni, la polemica sull’esistenza di prigionieri italiani in Russia. I giornali riportavano elenchi di soldati che ancora nel 1955 avrebbero dovuto trovarsi nei campi di concentramento sovietici. I giornalisti modenesi, in svariate occasioni, si precipitarono a casa mia avendo trovato il nominativo di mio fratello in quegli elenchi, intervistando e riaprendo in continuazione la ferita ai miei genitori, facendo titoli a più colonne sui giornali locali con fotografie e commenti. E questo avvenne, tutti gli anni dal 1950 al 1956. Il nominativo di mio fratello, praticamente sulla base di quella cartolina giunta in Italia nel 1943, dava la prova della sua esistenza in vita a quell’epoca, questi elenchi furono inviati, dalle autorità competenti, quale la delegazione italiana presso la commissione speciale dell’Onu per i prigionieri di guerra, per fare le opportune ricerche all’Ambasciata d’Italia a Mosca, alla Commissione Speciale dell’Onu e all’Ambasciata Sovietica a Roma. I titoli dei giornali riportavano: “Un ufficiale modenese catturato sul Don tuttora prigioniero dei Russi” e così nel 1952, nel 1953, nel 1954 sino al 1956, dodici anni dopo la sua cattura. C’era chi ne faceva speculazione politica, ma la classe politica italiana di quei tempi, sia di Governo, sia di quella parte, molto ma molto vicina alle gerarchie sovietiche, mai si è interessata a fondo del drammatico problema. Le visite in Russia degli esponenti italiani raramente si sono motivate per conoscere la verità sulla fine dei connazionali rimasti in quelle terre. Le autorità sovietiche hanno dichiarato per anni ed anni, di non essere assolutamente a conoscenza di tale problema, e che non esistevano archivi con elenchi dei prigionieri italiani. Comunicazione del Ministero del 1993 A cinquanta anni di distanza, nel 1993, dopo la caduta del comunismo sovietico, improvvisamente si aprono quegli archivi, e si scopre che tutti i prigionieri italiani nei vari campi erano schedati e catalogati. Nei corridoi e nelle cantine della famigerata Lubianka e del KGB, a Mosca, è stata trovata la conferma ufficiale dell’esistenza di quegli archivi che si pensava ci fossero e che al contrario lo stesso governo comunista negava. I servizi segreti sovietici hanno tenuto una contabilità e una documentazione precisa di quello che è accaduto dopo la tragica fine della Campagna di Russia. Dei morti, dei prigionieri, dei dispersi il Nkvd, il servizio segreto dell’epoca di Stalin, sapeva tutto e aveva annotato ogni cosa. Perchè mezzo secolo di menzogne? Nessuna pietà per tutti i familiari di quelle migliaia e migliaia di nostri connazionali che ebbero la sfortuna di andare a combattere in quel lontano territorio e di essere stati poi internati nei campi di concentramento sovietici, dove sono morti a decine di migliaia. Ministero della Difesa Roma 8 Marzo 1993 Alla Famiglia del S.Ten. Zucchini Augusto In seguito ai mutamenti politici avvenuti nell’Europa dell’Est,
è stato concluso, nel 1991 un accordo intergovernativo che ha dato la
possibilità a questo Ministero della Difesa di consultare gli Archivi
Segreti di Stato a Mosca ove è custodita la documentazione dei
Militari italiani, catturati prigionieri, deceduti nei territori
dell’ex URSS nel corso della 2° Guerra Mondiale e considerati sino
ad oggi Dispersi. Dagli esiti delle ricerche effettuate in detti Archivi dal
Commissariato Generale Onoranze ai Caduti (ONORCADUTI) e dai controlli
e riscontri effettuati nella documentazione custodita da questo D.G.
è emerso che il Vostro congiunto, S.Ten. ZUCCHINI Augusto, già
dichiarato disperso, è stato catturato dalle FF.AA. Russe, internato
nell’Ospedale n. 4041 NOVA LIADA Reg. Tambow, ove risulta deceduto
il 03.02.1943. La speranza di poter recuperare e rimpatriare i “Resti Mortali”
presenta difficoltà difficilmente superabili in quanto i Sovietici
hanno sepolto i nostri Caduti in fosse comuni unitamente a quelli di
altre nazionalità rendendo così impossibile l’identificazione. E’ comunque intenzione del suddetto Commissariato Generale, una
volta localizzate con precisione le località di sepoltura, erigervi
sopra dei cippi commemorativi a perenne ricordo del sacrificio dei
nostri caduti. Nell’esprimere la più viva espressione di partecipazione al
dolore da parte del Sig. Ministro della Difesa, si informa che sarà
interessata la competente commissione Interministeriale per
l’eventuale formazione dell’atto di morte del S. Ten. Zucchini
Augusto. Il Direttore della Divisione f.f. (Ten. Col. Adamo De Santo) All’inizio degli anni 80, il comunismo non era ancora crollato, il giornale “Il Resto del Carlino” pubblicò, il giorno 23 Settembre 1983, la notizia che il Console Italiano a Mosca si sarebbe recato a portare una corona di fiori sul luogo del campo di concentramento di Tambow. Letta la notizia andai a colloquio dal Prefetto di Modena per cercare di avere la possibilità di recarmi, a mie spese, assieme alla delegazione italiana, sul luogo della morte di mio fratello, presentando, all’autorità costituita, le credenziali che attestavano, con certezza, la presenza in quel campo, del bersagliere. Attraverso mille distinguo e con le formule burocratiche del potere, insensibile agli aspetti umani più naturali, non mi fu concessa quell’opportunità: uscii dall’ufficio indignato e sempre più arrabbiato nei confronti di uno Stato che negava, ad un suo cittadino, uno dei suoi più elementari diritti. A dimostrazione di come siamo sempre stati trattati, nonostante le promesse di tutti i politici se non, semplicemente, dei sudditi.
|
Torna all'inizio |
Autocaricatura del Bersagliere Zucchini Augusto |
Franco
Anderlini |
Ultima
cartolina dal fronte spedita il 12 Dicembre e disegnata dal
bersagliere. |
ultima
sua fotografia dal fronte russo |
Cartolina della Croce Rossa Internazionale dal campo di concentramento n. 188 di Tambow (fronte e retro) | Cartolina della Croce Rossa Internazionale dal campo di concentramento n. 188 di Tambow (fronte e retro) |
Gruppo
di amici nel parco cittadino: il primo sulla bici, Nino Bertacchini,
seduti sulle ruote Augusto Zucchini e Luciano Gambetti, a destra sulla
bici Fernando Ponzoni |
|
10 Luglio 1943 - Sbarco americano in Sicilia
Torna all'inizioE mail: civileguerra@virgilio.it
A MODENA DURANTE IL CONFLITTO MONDIALE (Da un racconto di Bruno Zucchini)
Io, Modena, la guerra e il dopoguerra
La quinta elementare (anno scolastico 1942-43) la trascorsi alle scuole “De Amicis", dove avevo frequentato tutte le classi, esclusa la prima (alla Scuola elementare San Bartolomeo), con la guida del Maestro Pini. Era composta, in parte da un gruppo di alunni dell’Istituto San Filippo Neri di Via Sant’Orsola (i Patronatini) e da due terzi di bambini della zona nella quale mi trovavo, molti dei quali figli della “buona” borghesia modenese (come si può evincere dalla fotografia della classe allegata al testo), i quali ebbero la possibilità di fare delle belle carriere nella società modenese, negli anni del boom economico e successivi.
Ricordo Giancarlo Vezzalini poi noto ingegnere e industriale, uomo Fiat, direttore generale e amministratore delegato Fiat trattori, Presidente New Holland Italia, presidente del Banco San Geminiano e San Prospero, e Presidente di Confindustria modenese; Giulio Piccinini, amico del gruppo dei “Cordigeri” e della banda di Corso Vittorio Emanuele, poi noto assicuratore, Piero Vicini, anche lui ingegnere e amico-nemico nelle lunghe discussioni politiche al Bar Pellini di Largo Garibaldi, ritrovo abituale della mia compagnia, i fratelli Loi (figli dell’olimpionico e insegnante di Educazione Fisica degli anni trenta) affermatisi, l’uno nella carriera militare, essendo stato, allora, uno dei pochi modenesi a frequentare la nostra Accademia e l’altro, Giorgio, funzionario dell’INA. Gianni Bulgarelli, in seguito impiegato al Banco di San Geminiano e San Prospero, componente del mitico gruppo di amici del Bar Pellini, oltre a Gozzi, Vergnani, Tavani e tutti gli altri che non ricordo. Si era nel pieno del conflitto mondiale, la guerra si stava mettendo male per gli eserciti dell’Asse impegnati su vari fronti e dall’estate del 1943, anche in casa nostra, dopo lo sbarco americano in Sicilia. A Modena si cominciava a “mugugnare”, le cose non andavano nel modo che il “mascellone” aveva dato ad intendere agli italiani, già in quei tempi si parlava di tradimenti e di “alte gerarchie” colluse con il nemico, tanto è vero che a Luglio si ebbe il crollo del Regime Fascista. Noi bambini sentivamo, senza rendercene completamente conto, che qualcosa non andava, vedevamo le nostre case, i nostri viali privati di tutte le cancellate in ferro che dovevano servire per fare cannoni e venivano sostituite con cancellate in cemento; il cibo scarseggiava, le nostre madri erano sempre preoccupate per quel poco che veniva passato attraverso la carta annonaria, non proprio sufficiente per dei ragazzini nella fase dello sviluppo adolescenziale; molte città italiane avevano già subito terrificanti bombardamenti, quello sulla vicina Bologna, alla fine del ’43, toccò particolarmente anche la mia famiglia dato che rimase sotto le macerie, in Via Galliera, il marito della sorella di mio padre (la zia Adele). Durante la calda estate, alla caduta del Fascismo, il 25 Luglio, la gente s’ illuse che presto la guerra sarebbe terminata e ancor più all’otto Settembre. Ma proprio quei due fatti furono le premesse per lo scatenamento della vera tragedia italiana. Fu subito guerra civile. Fratelli contro fratelli, Modena e la sua Provincia ebbero a subire pesantemente tale tragica situazione.
Non ci si aspettava che la nostra città potesse subire attacchi dal cielo, ma un triste giorno toccò anche a noi conoscere il terrorismo aereo degli anglo-americani, accadde il giorno 14 Febbraio 1944.
Da parecchio tempo le sirene, che segnalavano ai
modenesi gli allarmi aerei e la possibilità d’incursioni, laceravano l'aria
sempre più frequentemente. Le formazioni aeree anglo-americane avevano ormai
conquistato la supremazia dei cieli di tutta Europa e in particolare su quelli
italiani; già moltissime città del Centro-Nord avevano subito pesanti
bombardamenti e la possibilità di contrastare le centinaia di aerei delle
forze alleate da parte della caccia italiana e tedesca, nonostante i numerosi
episodi di eroismo dei pochi piloti della rinnovata aviazione repubblicana,
andava sempre più riducendosi.
Il bombardamento di Modena
A Modena il terrore dal cielo arrivò di Lunedì,
poco dopo l'ora di pranzo. L'allarme aereo aveva avvertito i cittadini, ma ben
pochi si erano recati nei rifugi, che in realtà erano delle grandi buche
ricoperte di sacchi di sabbia e di terra e che, data la loro limitata
consistenza, avrebbero, tutt'al più, protetto dagli spezzoni delle micidiali
bombe sganciate dalle formazioni anglo-americane.
La maggior parte dei modenesi era dunque rimasta
nelle case e si limitava a guardare, come in tante altre circostanze, il
passaggio di tutti quegli aerei. Il cielo era limpido, i bambini nei cortili o
dalle finestre delle case si additavano quelle grosse macchine volanti che,
malgrado l'altitudine, facevano un rumore assordante.
Tutti pensavano fossero diretti verso i grandi centri
industriali del nord, dato che Modena poteva offrire solamente bersagli di ben
limitata portata e di scarso interesse militare. Ma ormai la guerra
terroristica, anche dal cielo, aveva preso il sopravvento sulla guerra
guerreggiata. Così come gli agguati e le imboscate partigiane aumentavano via
via di intensità con l'incrementarsi degli aiuti anglo-americani, anche la
guerra aerea era programmata con incursioni esclusivamente terroristiche, su
obbiettivi di ogni tipo e particolarmente contro le inermi popolazioni. Queste
incursioni avevano lo scopo principale di spezzare il morale della gente
comune che, ovviamente, veniva a trovarsi in prima linea e altro non poteva
sperare se non in una veloce conclusione di tanto massacro.
La guerra psicologica, fatta di azioni terroristiche,
di bombardamenti a tappeto, di mitragliamenti continui, di spezzonamenti
notturni, di continue trasmissioni radiofoniche tendenti alla frattura del
fronte interno, fu un’arma micidiale, che i comandi delle potenze militari
"alleate" misero in atto con spietata ferocia e con particolare
dovizia di mezzi.
Modena era ancora, in quei giorni, una città piena
di vita e di attività e la maggioranza della popolazione era rimasta,
nonostante gli esempi della città vicine, come Bologna e Reggio Emilia, più
volte duramente colpite: tutti confidavano sull'ipotesi che, ben difficilmente
gli angloamericani avrebbero attaccato un centro di scarsa importanza
strategica.
Alle 13,30 si scatenò su Modena il finimondo;
centinaia e centinaia di bombe piovvero dal cielo in pochi minuti; scene di
panico avvennero ovunque, si correva fuori dalle case con il cuore in gola a
cercare scampo, mentre tutto sussultava e la terra tremava come in un violento
terremoto; una polvere bianca aveva coperto tutta la città colpita in vari
quartieri.
Io mi trovavo alla finestra a guardare quelle
formazioni di aerei nella mia casa di Viale Mazzoni quando, al primo rumore di
bombe che cadevano, assieme ai miei genitori, mi precipitai fuori casa per
raggiungere il ponte del cavalcavia della Sacca. Non facemmo in tempo poiché
le bombe piovevano da tutte le parti e ci buttammo a terra sul terrapieno
prima del ponte. E lì subimmo l’inferno, vidi saltare in aria la conceria
Pellami al di là della ferrovia e enormi massi arrivarono sino a pochi metri
da noi. Siamo scampati miracolosamente.
Quando la nube cominciò a diradarsi, la tragedia
apparve in tutta la sua vastità. Furono particolarmente devastate le zone
della Sacca e di San Cataldo, molte bombe caddero attorno alla stazione
ferroviaria che non subì gravi danni. Danni enormi, al contrario, subirono
numerosi stabilimenti e case di abitazione civile nelle zone circostanti; saltò
in aria la conceria pellami, nel luogo ove attualmente sorgono gli edifici
delle scuole Ferraris; vennero colpite varie scuole elementari, le De Amicis,
le Campori, le Carmelo Borg Pisani e fortunatamente le lezioni erano state
terminate da poco; moltissimi palazzi vennero totalmente distrutti,
specialmente in Viale Crispi; altre bombe caddero un pò ovunque: in Via
Emilia Ovest, nei Viali del Parco e nei giardini pubblici. I morti, furono
oltre cento, e parecchie centinaia i feriti. I danni alle cose incalcolabili.
Ha inizio in questo modo la serie dei pesanti
bombardamenti che in seguito colpiranno la città e la Provincia modenese sino
al termine della guerra; centri come Pavullo, Vignola e tanti altri paesi
subirono enormi distruzioni e grosse perdite tra la popolazione civile. La
maggior parte di questi bombardamenti non portò danni consistenti nè alle
strutture dell'esercito tedesco, né alle strutture industriali e tanto meno
agli obbiettivi militari; subirono invece distruzioni ingenti moltissimi
monumenti ed opere d'arte, oltre alla distruzione di interi quartieri
popolari.
Va inoltre ricordato che molti degli obiettivi da
colpire, in realtà quasi mai centrati, erano comunicati alle forze
angloamericane da speciali formazioni partigiane munite di radiotrasmittente
ed in collegamento con i comandi militari anglo-americani.
Modena entra così nell'occhio del ciclone della
guerra. Nessuno aveva più scampo, militari e civili erano continuamente
bersagliati dagli attacchi aerei e dalle imboscate sulle strade; la città
dopo questa bestiale aggressione cominciò a svuotarsi, tutti coloro che
potevano rifugiarsi da amici o parenti nelle campagne, scapparono; ebbe inizio
così il triste esodo degli "sfollati" con tutti i drammi umani che
si portò dietro.
I bombardamenti massicci, i mitragliamenti a bassa
quota su tutto ciò che si muoveva di giorno, il terrore notturno con i lanci
isolati ed indiscriminati di bombe, da parte di aerei che la popolazione
chiamava "Pippo", avevano creato in tutti una vera e propria
psicosi, d'altronde ben comprensibile, al minimo rumore di aereo.
Il bombardamento successivo avvenne esattamente tre
mesi dopo.
Il 14 Maggio alle ore 14,35, Modena subisce il secondo e più terrificante bombardamento, superiore per danni, distruzioni e vittime a quello, già pesante, del mese di Febbraio. A ondate successive, le formazioni dei bombardieri angloamericani, le famose fortezze volanti, scaricarono, indiscriminatamente dal cielo, sulla nostra città, tonnellate e tonnellate di bombe; furono quindici minuti lunghissimi; i bombardieri alleati dimostrarono ancora una volta, che il loro impegno principale era quello di seminare il terrore tra la popolazione civile, senza curare minimamente gli obiettivi militari. Il centro della città subì gravissimi danni; venne semidistrutta la Chiesa di San Vincenzo, completamente distrutta la Chiesa dei Servi, di cui oggi rimane, simbolicamente, il vecchio campanile, unica parte rimasta integra, della Chiesa. Gravissime lesioni subirono, il Tempio Monumentale dei Caduti e la Chiesa di San Domenico; il Duomo cittadino subì gravi danni, in particolare modo alla “Porta dei Principi”; sembrava che dal cielo fosse stato preordinato un preciso disegno per la distruzione dei monumenti storici e dei luoghi di culto.
Danni enormi subirono, il Palazzo delle Poste, il
Palazzo Ducale, l’Arcivescovado, il Portico del Collegio, ecc.
Ai mulini nuovi fu colpito un ponte sul canale Naviglio, sotto al quale si erano rifugiati i bambini e le suore del vicino asilo; fu una vera e propria carneficina. Venne anche colpita la Caserma “Ciro Menotti” sede della Scuola Allievi Ufficiali della GNR.
Subito dopo il bombardamento di Febbraio, la mia
famiglia si trasferì, dopo aver caricato su di un carretto i pochi bagagli
utili e le cose di maggior pregio, nelle campagne di Ravarino dove abitavano i
parenti di mio padre, questa fu una manovra giusta in quanto nel bombardamento
di Maggio la nostra casa venne colpita e fortemente danneggiata.
Lo sfollamento
Lo
“sfollamento” in campagna stravolse tutto il mio sistema di vita; si
dovette abbandonare oltre alla casa, gli amici, i giochi nelle strade e ai
giardini, la scuola, anche se, noi ragazzini, non ci lamentammo più di tanto
per la forzata chiusura delle scuole. Ed ecco che iniziarono le scorribande
per i campi, anziché sulla strada di Corso Vittorio, alla ricerca di tutto
quello che era possibile trovare allora e che potesse dare sfogo alla nostra
esuberanza e al desiderio di divertirci anche in momenti così difficili. La
frutta sulle piante, che entrava nelle nostre camicette, e i contadini urlanti
che ci rincorrevano senza mai riuscire a prenderci, la “spigolatura” dei
campi di grano dopo la trebbiatura alla ricerca delle poche spighe rimaste sul
terreno, la battitura del grano, la pigiatura dell’uva a piedi scalzi nelle
aie, la macellazione dei maiali, la caccia alle munizioni che si trovavano un
po’ ovunque, bossoli di fucili, di mitragliatrice, ricercatissimi quelli da
20 e 12 mm. degli aerei americani che durante il giorno mitragliavano ogni
cosa in movimento. Con quei giochi ci divertivamo “un sacco”. Un giorno fu
mitragliato e bombardato un treno tedesco carico di munizioni, fermo alla
stazione di Ravarino e saltato completamente in aria, lasciando per lungo
tempo la possibilità, a noi bambini, di un recupero incredibile di
“materiale”, micce, bossoli, ecc.
Erano
giochi pericolosi che i “grandi” ci offrivano in quei giorni crudeli,
molti subirono mutilazioni per lo scoppio di questi ordigni messi tra mani
inesperte, oltre agli “omaggi” che gli americani ci lanciavano dal cielo,
come penne stilografiche esplosive che allettavano la fantasia di noi
ragazzini quando le trovavi in mezzo a un campo, e non sapevi, se non dopo che
erano esplose nelle mani di qualcuno, che quei “doni” che ci venivano
offerti erano delle micidiali trappole mortali.
La
guerra non più solamente al fronte, era quotidianamente tra i civili che
continuavano a scannarsi tra loro, colpiva tutti, bambini compresi.
La
strada che porta da Ravarino, frazione La Grande, a Nonantola è ancora un
lunghissimo rettilineo, allora non asfaltato, lo percorrevamo una mattina in
bicicletta quando, dopo aver superato un carro agricolo, vedemmo venirci
incontro, a bassissima quota un aereo americano; istintivamente, i quattro o
cinque ragazzini, quanti eravamo, si infilarono, biciclette comprese, nel
fossato laterale abbastanza profondo, un attimo prima che l’aereo, vedemmo
perfettamente il volto del pilota dentro l’abitacolo, sgranasse le sue
mitragliatrici, con un fuoco spietato, sul carro agricolo che venne
completamente distrutto; il carrettiere, fortunosamente, si lanciò anche lui
dal carro, nel fossato, salvandosi.
Tedeschi nelle campagne di Ravarino
Inoltre
c’era sempre il problema della presenza dei tedeschi: nella nostra zona
precisamente nell’edificio della Scuola elementare di Rami di Ravarino
s’installò per lungo tempo un distaccamento di truppe germaniche, che in
realtà non diede mai grossi problemi, anzi vi fu un buon rapporto tra la
popolazione e questi militari. Vi era un certo via vai di mezzi militari, sia
fascisti sia tedeschi: una notte si fermarono nel cortile interno dei
fabbricati dove ero alloggiato, tre o quattro carri armati “tigre”e lì si
attestarono per alcuni giorni. Vi fu un’enorme preoccupazione da parte di
tutti i residenti, per l’eventualità di un attacco aereo che sarebbe stato
devastante se i carri fossero stati visti dall’alto.
I tedeschi li misero in posizione strategica e inoltre li
coprirono con reti mimetizzanti, così, noi bambini, che facilmente facevamo
amicizia con tutti, riuscimmo a convincere i soldati a farci visitare,
all’interno, i loro “mostri d’acciaio” che avevamo visto, sino allora
in fotografia, in particolare sulle riviste tipo “Signal” che qualche
volta raggiungevano la nostra località.
In questa circostanza, i tedeschi, restarono al loro posto e non
disturbarono nessuno.
Una
notte, in casa mia c’era l’unica radio della zona portata con noi dopo lo
sfollamento dalla città, si radunarono alcuni parenti e residenti del borgo
per ascoltare “Radio Londra”; la trasmissione radiofonica inglese in
lingua italiana, che trasmetteva, tra l’altro, comunicati ai partigiani ed
era osteggiata dal Governo della Repubblica Sociale, ne era tassativamente
proibito l’ascolto, ci fu veramente paura. Erano previste sanzioni pesanti
se si fosse stati scoperti.
Ad
un tratto sentimmo bussare alla porta, assieme a voci tedesche, terrorizzati o
quasi, gli adulti ammutolirono, e si spense immediatamente la radio. Mia madre
tutta tremante andò ad aprire, si trovò di fronte due “carristi” che,
con il loro italiano stentato e quasi timidamente chiesero “in prestito”
alcuni bicchieri poiché all’interno dei loro carri stavano festeggiando un
camerata; ovviamente furono dati loro i bicchieri che ritornarono regolarmente
il mattino successivo. Per alcune sere la voce di Radio Londra rimase spenta,
ma dopo alcuni giorni gli ascolti “clandestini” ripresero, dato che, il
desiderio di sapere notizie, assieme alla speranza della fine del conflitto,
era troppo forte per tutti.
Modena-Ravarino andata e ritorno
Mia
madre, per tutto il periodo dello ”sfollamento”, lavorava come sarta
presso l’Ospedale Militare di Via San Geminiano a Modena, si faceva
quotidianamente una pedalata di 18 chilometri al mattino e altrettanti alla
sera per il ritorno, per la tratta Ravarino-Modena.
L’unico
episodio, di un certo rilievo, che la vide protagonista in quei 15 mesi di
“allenamento ciclistico” le capitò il giorno 21 Aprile 1945. I giorni
della “liberazione”. Le truppe anglo-americane avevano sfondato il fronte
della Linea Gotica e stavano rapidamente conquistando tutta la pianura padana.
Modena, proprio in quelle ore, era evacuata da tedeschi e fascisti.
All’Ospedale
Militare lasciarono libero il personale non infermieristico, di conseguenza
mia madre si rimise in bicicletta per tornare a Ravarino. Con le strade quasi
deserte si avviò per la Via Nonantolana quando, giunta sul ponte di
Navicello, si vide venire incontro un soldato tedesco che la implorava:
“Mamma, mamma, tu dare a me bicicletta che io dovere scappare”, lei non ci
pensò due volte, e non per la paura, ma perché pensò subito al figlio che
non era, e non sarebbe, tornato dalla guerra, lasciò la bicicletta al
soldatino che fuggì per andare chissà dove, facendosi tutto il tragitto sino
a casa, a piedi.
Nei racconti, prodotti a profusione, che parlano di quei
tempi, specialmente in tutti i testi “resistenziali” i soldati tedeschi
vengono sempre, spregiativamente, chiamati i “tognari”. Sempre in quel
giorno, mentre aspettavo il ritorno di mia madre, nel sito dove mi trovavo,
tutti si erano portati fuori casa in attesa degli eventi che stavano
precipitando. Molti si improvvisarono “partigiani dell‘ultima ora” e
qualcuno aveva tirato fuori i fucili nascosti attendendo, agli angoli delle
case, di poter fare la “loro guerra”.
Davanti
a miei occhi accadde che all’improvviso, dalla curva della strada, spuntò
una bicicletta montata da un militare tedesco. Senz’altro non era quello al
quale mia madre aveva lasciato la sua al ponte di Navicello. Appena lo videro,
gli eroi dell’ultima ora, tra lazzi e risate, iniziarono il tiro al
bersaglio contro il poveraccio, colpendolo prima alle gambe poi in altre parti
del corpo, finendolo una volta che era carambolato per le terre. Poco
importava che quel disgraziato fosse o no responsabile di misfatti, fosse
semplicemente un furiere o un addetto alle cucine, era un “tognaro” e
bisognava eliminarlo.
Nelle
campagne attorno, nel frattempo, era iniziata la mattanza, la caccia al
fascista o al presunto tale: coloro che avevano avuto rapporti, anche i più
banali, oppure dettati da semplici situazioni di doveri istituzionali,
entravano nel mirino perverso dei “liquidatori” che con la prospettiva di
creare sulle nostre terre una parvenza di quel “paradiso sovietico” verso
il quale erano stati indottrinati,si preoccuparono di spedire “tra gli
angeli” il maggior numero di persone che avrebbero potuto essere,
nell’immediato futuro, dei potenziali avversari.
Nelle
zone dove ero sfollato, molte cose le imparai tempo dopo, accaddero massacri
ed eliminazioni arbitrarie che mai, sino ad oggi, hanno avuto la possibilità
di essere scoperte e tanto meno puniti gli esecutori. Quei territori
nascondono ancora oggi cadaveri di fascisti, di possidenti, di religiosi, di
persone dabbene che furono eliminate con una programmazione feroce e spietata.
Non
riuscirono nei loro intenti e l’Italia, in particolare per la spartizione
del mondo voluta a Yalta, non cadde nelle mani dei comunisti russi e nostrani,
come invece successe a molte nazioni del cosiddetto est europeo. Appare
semplicemente irrazionale che a distanza di oltre sessanta anni, dopo tutto
quello che è successo nel “loro paradiso”, ci siano ancor oggi in Italia
persone e gruppi, che occasionalmente si trovano al governo, convinti del
miraggio di quella fallimentare e criminale ideologia.
Fine della "carneficina"
I
ragazzini allora, terminata la tremenda
carneficina, si scatenarono allegri e
divertiti nelle nuove formule dell’americanismo trionfante. Era impossibile,
in quel contesto e a quell’età, recepire che “le novità” portateci
dalle truppe, americane, inglesi, francesi, neozelandesi, brasiliane,
marocchine, sudafricane ecc. altro non erano se non i presupposti di una
conquista, che dura ancora oggi, della nostra civiltà crollata e conquistata
dai nuovi padroni, gli americani, che tutto hanno livellato al loro volere e
alla loro pseudo-cultura attraverso un capitalismo che ha inglobato e
fagocitato tutto e tutti, compresi anche coloro che si erano dichiarati loro
acerrimi nemici, i comunisti.
Siamo
pertanto calati in una dimensione, dopo l’epoca dei Giganti, nel tempo dei
nani, omuncoli e donnicciole che della politica politicante, hanno fatto il
loro mestiere, dal 1945 ad oggi, siamo arrivati al tempo, come diceva lo
scrittore siciliano Sciascia, dei quaquaraqua, per arrivare sino alla genia
degli invertebrati, che strisciano e sbavano davanti ai padroni del mondo,
quelli che ci hanno massacrato, bombardato, svillaneggiato e svuotati di ogni
dignità continuando ad incensarli come i nostri “liberatori”.
Cosa
ne sapevano i ragazzini del 1945, dato che imperava solamente il nuovo
“verbo” e dato che anche le generazioni successive furono educate
scolasticamente in modo unilaterale nelle conoscenze storiche e della libertà
di pensiero, del mondo che era stato sconfitto?
La
libertà è bella e sacrosanta, ma obbligatoriamente deve avere delle regole,
la scusante della libertà è stata una falsa chimera e non solo la mia, ma
anche le generazioni successive ne sono state “sconvolte”. A quei tempi,
noi che ancora giocavamo, eravamo all’oscuro di tante cose, sia da una parte
sia dall’altra, mentre “i monatti” portavano al cimitero i nostri
fratelli maggiori con la scusante della”nuova libertà conquistata”.
Modena
e la sua Provincia hanno subito pesantemente questa “liberazione” che
ancora oggi sentiamo, come “la scimmia della droga”, sulle nostre spalle.
Il benessere diffuso ci ha resi completamente “ciechi”,
anche gli uomini della cosiddetta “destra” hanno fallito miseramente il
loro scopo, in quanto sono rimasti prigionieri di un passato che cercava di
andare avanti tra “doppiopetto” anacronistico e, ancor più fuori tempo,
attraverso le “pagliacciate” nostalgiche. Le nuove generazioni erano
desiderose di creare qualcosa di nuovo e di combattere la “decadenza
dell’Europa” ma purtroppo non ebbero riferimenti culturali di sorta che
spiegassero loro il perché di
passati gloriosi di fronte al vuoto del presente. I giovani di allora come in
buona parte quelli di oggi, sono soprafatti da una concezione del mondo che
tutto “cloroformizza”, anche quell’ultima ridotta che concettualmente
avrebbe dovuto ribellarsi alla decadenza e allo sfascio di una Europa e di una
Italia disarticolata, disintegrata in tante battaglie di retroguardia e in una
forma reazionaria improbabile e a dir poco disgustosa, che và a sollecitare
gli istinti peggiori di un popolo decisamente imbelle, incapace di ogni
reazione e decisamente vile e traditore.
Nel
1945, al termine del secondo conflitto mondiale le nuove generazioni furono
sopraffatte, nella stragrande maggioranza, dalla prepotenza economica e in
parte culturale, delle forze coalizzate che avevano conquistato il mondo.
Le gite in Bici
Fu
una conquista quella della bicicletta, una volta tornato a Modena, e non era
certo la mitica “Bianchi”, né la “Legnano”, ma un “burtel”, come
venivano chiamati i vecchi “catorci”; cercando di tenerla ben oliata e in
ordine, ebbi la possibilità, assieme ad un gruppetto di ragazzi, di
partecipare a tante gite con percorsi, anche esterni alla città. Spesso
andavo e tornavo nelle campagne di Ravarino, dove avevo trascorso il periodo
dello sfollamento, a trovare parenti e amici¸vi furono anche puntate in
montagna arrivando “sino” a Serramazzoni con la famosa curva del
“Taglio” che, fatta con la mia bicicletta, assumeva quasi la scalata di
uno “Stelvio” o di un “Tourmalet”. Una delle gite più lunghe fu una
Modena-Ferrara, che a quei tempi con strade sterrate e con mezzi così
scadenti a disposizione assumeva una specie di “trionfo ciclistico”.
Un’altra
gran passione di quel periodo, anni 1946-47, era, per il nostro gruppetto, la
scalata alla Ghirlandina, ovviamente fatta, salendo le ripidissime scale, di
corsa per arrivare primi in vetta a goderci lo splendido panorama di Modena e
delle campagne circostanti, con visuale, durante le belle giornate sino al
Cimone e alle prealpi venete; si restava, sul ballatoio più alto, a lungo a
goderci il lancio dei nostri aereoplanini di carta volteggiare, e vederli
atterrare sui tetti della città.
Giornalini ecc.
Ci teneva molto impegnati anche la raccolta e la rilegatura
dei giornalini. Avevo costituito il mio primo “club”, il club Salgari, che
ovviamente raccoglieva tutte le pubblicazioni del grande romanziere veronese:
leggevamo quei libri con avidità, e vivevamo, con la nostra fantasia, quelle
storie come fossero reali, immedesimandoci nei vari personaggi delle, “Tigri
di Monpracem”, in “Sandokan alla riscossa”, nel “Corsaro Nero” e in
tutte le altre mirabolanti avventure di quei mitici racconti. Per non
dimenticare le altre splendide storie della raccolta della “Biblioteca dei
Ragazzi” della Casa Editrice Salani.
Vi è un grosso rammarico da parte mia per non aver conservato
la vastissima raccolta dei giornalini di quel periodo, che, se fosse ancora in
mio possesso, costituirebbe un discreto capitale, visti i prezzi che ci sono
su quel particolare mercato.
Avevamo
acquisito una buona tecnica della rilegatura, e nella nostra esclusiva
biblioteca avevamo gli “Albi d’oro” di Topolino, le collezioni di
“Gordon” con i mitici personaggi di Dale, Ming, Zarro, Flash Gordon
illustrati in splendide tavole a colori. La raccolta di “Mandrake” con il
suo fedele “Lotar”, gli album ricercatissimi di “Cino e Franco” e
dell’”Uomo Mascherato”, il mitico personaggio anteguerra, italiano,
“Fulmine”, “L’Avventuroso” con le prime striscie del grande
Jacovitti, gli album, più piccoli ma molto
interessanti di un personaggio meno famoso, ma sempre molto avvincente, “Jim
Toro”. Avevamo scoperto anche i
famosi giornalini dell’americano “Joe Petrosino” con le sue formidabili
lotte alla mafia come, “La mano Nera”.
Certo
che, man mano che si “diventava” grandi, si tralasciavano questi interessi
per dedicarci alla conoscenza “più approfondita” delle bambine nostre
coetanee che, al tempo dei giornalini, non degnavamo nemmeno di uno sguardo,
Vi
furono episodi, accaduti in città, che hanno lasciato un ricordo indelebile
nella mia memoria, come il grave incidente nella gara automobilistica sui
Viali del Parco cittadino che avvenne il 27 Settembre del 1947.
L’avvenimento era attesissimo, il “Gran Premio Automobilistico” per le
strade di Modena, nessuno lo voleva perdere. Ero, assieme ad una moltitudine
di modenesi quel giorno sul circuito, abitando, tra l’altro, ai margini
dello stesso, avevo potuto seguire tutte le prove. Durante la gara mi ero
sistemato vicino ad uno dei platani, all’altezza dell’Istituto dei
Salesiani”, attualmente vi si trova uno dei più noti e frequentati
“chioschi” dei nostri viali, dove erano stati sistemati, tra un platano e
l’altro, per contenere la folla, rotoli di filo spinato pericolosissimi; a
circa 100/150 metri dal mio punto di osservazione uscì di strada la
“Delago” del pilota Bracco. Fu una strage: 5 morti e 20 feriti; corsi
immediatamente sul posto e mi si offerse uno spettacolo “atroce”, tutti
quei corpi dilaniati e dalla macchina e dal filo spinato, mi lasciarono
sconvolto per giorni e giorni.
Ricordo
anche le notti insonni, trascorse su quei viali, per assistere al passaggio o
dalla curva di Largo Garibaldi o al Monumento dei Caduti, della mitica
“Mille Miglia” o della cavalcata dei centauri dell’altrettanto famosa
Milano-Taranto.
Un’enorme
impressione ci fu il 5 Maggio del 1949, alla notizia della tragedia del
“Grande Torino”, quando l’aereo, che trasportava giocatori, dirigenti e
giornalisti di quella famosa squadra, precipitò, schiantandosi sul Colle di
Superga.
Il
Cinema è stata un’altra grande passione: ci fu un periodo che si andavano a
vedere due, tre film al giorno. Si partecipava a “cineforum”, i locali
come il “Principe”, lo “Splendor”, l”Orientale”, l’Excelsior”,
la “Scala” e poi l’”Astra”, il “Metropol”, il “Paradisino”,
la sala del TOF, erano sempre affollatissimi anche nelle prime ore del
pomeriggio. Così come d’estate i cinema all’aperto quali,
l’”Italia”, l’Estivo”, il “Tennis” erano costantemente
frequentati dal mio gruppo di amici.
Frequentemente
cercavamo di entrare di “straforo” o con la “patouna”, oppure con
l’accorgimento dei biglietti strappati, poi ben ricomposti tanto da superare
la prova del bigliettaio; per un certo periodo, con altri due amici, scoprimmo
una strada per entrare gratuitamente al cinema Astra da poco inaugurato.
Dall’ingresso del fabbricato a lato del cinema, saliti nella zona granai,
trovammo una porta che, dalla terrazza, dava direttamente accesso alla
galleria, di fianco alla cabina di proiezione. Sfruttammo quella situazione
per un periodo abbastanza lungo, ma un giorno, credo una maschera, si accorse
di quel nostro stratagemma e ci portò in Direzione. Da allora quella porta fu
ben chiusa a chiave.
Immagini Modena durante la guerra